Le solite passeggiate in riva al mare, fra topless, tatuaggi e burkini
Al Lido degli Estensi, sulla riviera adriatica, si fanno molte passeggiate in riva al mare. Perché la spiaggia è immensa, la sabbia è morbida, e dagli ombrelloni al mare c’è una distanza così grande che, una volta arrivati in riva, diventa necessario restarci, viverci un po’, arrivare fino al molo dei pescatori, portare a spasso il cane, comprare una collanina dai venditori ambulanti o incrociare qualcuno che sta passeggiando in direzione contraria e fermarsi a chiacchierare. Al Lido degli Estensi, che appartiene ai sette lidi di Comacchio, è più bello passeggiare che nuotare. E in queste passeggiate, che durano circa un’ora fra andata e ritorno (escluse le chiacchiere), c’è l’umanità in vacanza, ma più precisamente l’umanità che va al mare, per un giorno o per la settimana di Ferragosto o per la stagione intera: ci sono le signore anziane che riattivano la circolazione e le adolescenti che chattano mentre camminano. Le madri all’alba con i neonati nel marsupio, i raccoglitori di conchiglie, le signore che raccontano tutte le malattie dell’inverno, i tatuati, i campeggiatori, gli amanti che fingono di incontrarsi per caso in riva al mare a mezzogiorno. Ci sono le maniache dell’abbronzatura, che vogliono abbronzarsi davanti e dietro con lo stesso grado di intensità, e calcolano i movimenti della terra intorno al sole per scegliere la direzione della passeggiata, con il sole alle spalle e poi con il sole di fronte.
Quest’estate, in riva al mare, vicino al molo, dove c’è la spiaggia libera e dove ci sono anche più ragazze in topless, ci sono molte donne con il burkini. Camminiamo insieme: noi attente al segno del costume e loro coperte dalla testa alle caviglie. Fanno fare il bagno ai bambini, non al largo ma sempre con l’acqua che arriva loro alle ginocchia, e quelle ginocchia sono coperte da pantaloni bagnati, e anche la casacca che copre i pantaloni sta immersa nell’acqua (a volte sono burkini fatti in casa, creati semplicemente con strati di cotone, magliette a maniche lunghe, pantaloni leggeri ma coprenti, e una lunga casacca svolazzante). Le ragazze in topless non ci fanno caso, le ragazze in burkini tengono gli occhi bassi, ma a volte lanciano sguardi corrucciati. Viene voglia di urlare: togliti quella roba bagnata, sdraiati al sole, molla i bambini a tuo marito. Ma sarebbe sbagliato, giuridicamente insostenibile, e perfino dannoso, desiderare che un poliziotto vada da quelle giovane signore a imporre un costume da bagno che lasci scoperte le gambe, la pancia, le spalle, pena la cacciata dalla spiaggia e la multa.
Succederebbe una cosa semplice: non incontreremmo più donne con il burkini nelle nostre passeggiate in riva al mare, perché quelle donne non verranno in spiaggia a causa di una nuova proibizione. Non staranno più in mezzo agli uomini (ma segregate in una spiaggia femminile, quindi più facilmente dentro casa), non porteranno i bambini al mare, non si bagneranno i vestiti in acqua, non pianteranno l’ombrellone nella sabbia, non metteranno la crema sulla faccia. Se un marito proibisce alla moglie di indossare un costume da bagno comodo e che lasci passare i raggi del sole sul corpo, e anche gli sguardi del mondo, uno stato non deve perfezionare il disastro culturale proibendo a quelle donne di andare in spiaggia con i pantaloni lunghi e il velo sui capelli. Se invece è una libera scelta, se davvero quella ragazza con gli occhi truccati desidera stare in riva al mare coperta dalla testa ai piedi, lanciando occhiate di rimprovero alle altre in bikini, in costume intero, in topless, con o senza tatuaggi, allora una cosa deve essere enormemente chiara: noi non ci rivestiamo.
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