La Sigatoka Nera distrugge le banane, solo gli Ogm possono salvarle
Roma. “Di questi tempi, le banane sono un lusso che non ci possiamo permettere!”, era la battuta con cui nel film sul Bounty del 1984 si spiegava il perché di quel viaggio del 1787 in capo al mondo, a cercare nell’albero del pane “un nuovo foraggio per gli schiavi delle Indie Occidentali”. Non è più così, ma entro dieci anni potrebbe tornare a esserlo, se non si ricorre agli Organismi geneticamente modificati (Ogm). In altri casi, infatti, la modificazione genetica degli organismi è solo questione di maggior produttività. Ma in questo caso potrebbe essere in gioco la stessa sopravvivenza del prodotto. Domesticata in Nuova Guinea tra il 5000 e l’8000 a. C., menzionata per la prima volta in testi buddhisti del 600 a. C., scoperta da Alessandro Magno in India nel 327 a. C., oggetto di coltivazione organizzata in Cina dal 200 d. C., portata dai conquistatori islamici in Palestina nel 650 e poi di lì in Africa e nella penisola Iberica, trasbordata dai portoghesi nelle Americhe a partire dal 1502, lanciata come prodotto di consumo di massa a partire dalla Centennial international exhibition di Philadelphia nel 1876, oggi la banana è il frutto più venduto nel mondo: 139,2 milioni di tonnellate di produzione nel 2012; 17,9 milioni di tonnellate di export nel 2011.
In realtà, i primi tre produttori mondiali sono India, Cina e Uganda. La classifica dell’export vede però in testa con il 29 per cento della quota di mercato mondiale l’Ecuador, seguito dalla Costa Rica (10 per cento), dalla Colombia (altro 10 per cento), dalle Filippine (9) e dal Guatemala (1,5). Sono le cosiddette “Repubbliche delle Banane”, attorno alle quali Unione europea e Stati Uniti si sono combattuti per decenni una “guerra” per il modo in cui Bruxelles proteggeva le “banane comunitarie” di Guadalupa, Martinica, Canarie, Madera, Azzorre, Algarve, Creta, Laconia e Cipro. Simbolo di abbondanza dopo la caduta del Muro di Berlino, la banana meriterebbe solo per questo di essere affrancata da tante immagini negative su corruzione politica e bucce. Per non parlare delle metafore pecorecce per la sua forma fallica, in stridente contraddizione con il particolare che le banane commestibili oggi in commercio non si riproducono per via sessuale, ma per talea.
Ma qui scatta appunto il problema. Da una parte, infatti, le due varietà selvatiche Musa acuminata e Musa balbisiana sono pressoché immangiabili, proprio perché all’interno del frutto ci sono quasi solo semi. Le banane commestibili devono dunque essere senza semi, col risultato però che in questo modo la riproduzione per talea le rende tutte cloni di una pianta originaria, come si scoprì nel 1947. In questo modo, però, diventa anche altissima l’esposizione ai contagi, per carenza di varietà biologica. Appunto negli anni 50, la Malattia di Panama provocata da funghi terricoli portò addirittura all’estinzione della Gros Michel, la varietà che a partire dal XIX secolo era diventata la più venduta. Per fortuna si riuscì a lanciare l’altra varietà Cavendish, più resistente alle muffe.
Secondo uno studio dei ricercatori dell’Università della California a Davis pubblicato su Plos Genetics, però, altre specie di funghi patogeni potrebbero distruggere anche la Cavendish. E’ la malattia chiamata Sigatoka Nera, causata da tre diversi funghi, due dei quali sono diventati più virulenti. Per ora sono arrivati solo in Africa, Asia ed Europa, gli oceani proteggono ancora le Americhe. Ma per gli esperti il grande salto è inevitabile e prima che avvenga bisognerà aver perfezionato una qualche difesa. La soluzione ogm, appunto, potrebbe modificare il genoma delle banane per renderle resistenti.