"Così dal male può nascere il bene", dice mons. Cavina.
Il vescovo di Carpi, uno dei comuni più colpiti dal terremoto in Emilia del 2012, riflette sul significato del dolore di fronte al sisma che ha ferito il centro Italia. "Davanti a tragedie come questa l'uomo scopre di avere bisogno di Dio".
Guardando alle macerie di Amatrice, Accumoli e degli altri luoghi colpiti dal terremoto del 24 agosto scorso, la mente torna in modo ineluttabile a quanto accadde qui, in Emilia, quattro anni fa. Si rivive la medesima esperienza. Eventi come questi ci inducono a riconsiderare la verità sull’uomo e sul creato. E’ sufficiente un attimo: la terra trema e possiamo perdere ogni cosa, inclusa la vita. In pochi secondi. L’uomo che si crede signore assoluto e padrone della propria esistenza vede sgretolarsi in un attimo ogni umana certezza. E’ proprio in tragedie come questa, come quella che ha colpito Carpi e la bassa pianura emiliana nel 2012 e il centro Italia qualche giorno fa, che si ha la dimostrazione di come noi siamo tutto meno che autosufficienti. Siamo creature che dipendono da un Altro, ed è inevitabile che dinanzi a catastrofi simili si aprano spazi al trascendente, che vadano oltre la mera dimensione orizzontale.
Certo, trovare un senso a quanto accade è impresa ardua: non si può spiegare tutto ripiegando sulla ricerca affannosa e poco gratificante di cause tecniche né imputando la calamità a un destino cieco. E’ qui che si comprende, e lo dico anche per la mia esperienza personale tra le popolazioni colpite in Emilia, dove ero da pochi mesi giunto come vescovo, che la ricerca di una vita più lunga, del divertimento e dell’arricchimento, non sono sufficienti. Sono cose che non bastano perché una vita sia degna di essere vissuta: serve Altro, qualcosa di più definitivo e totale, l’uomo comprende che ha bisogno dell’infinito. E’ comprensibile lo sguardo rivolto al Cielo davanti alla propria casa ridotta a cumulo di rovine, ma è proprio qui che si radica la proposta scandalosa di Dio, che è Amore. Dio ha in ogni caso e sempre un piano di amore che si sviluppa secondo linee a noi incomprensibili, ignote, misteriose. Direttrici che non sono le nostre, umane. Anche nella tragedia c’è un senso e il nostro compito è chiedere a Dio un aiuto affinché possiamo comprendere il bene che esiste nella tragedia. E’ la fede che viene in soccorso, il cristiano segue l’esempio di Cristo che sulla croce si affida al Padre, ed è da questo affidamento che deriva la risurrezione.
In Emilia, piano piano, abbiamo scoperto questo bene che può sgorgare dal disastro. La fede aiuta a vederli: le popolazioni che guardavano agli antichi luoghi di culto chiusi, aspettando la loro riapertura, la nascita di tante vocazioni religiose. E’ stata una riscoperta delle proprie radici ma ancora di più della dimensione trascendente che si chiede a chi vogliamo affidare la nostra vita.
Si incolpa Dio di queste tragedie, ma si dimentica che spesso la responsabilità è anche dell’uomo, che non è stato capace di usare al meglio l’intelligenza e la competenza che proprio Dio gli ha donato. Penso a come sono state costruite le case, le chiese, le scuole, a come sono state restaurate. Anche in questo caso, parlo per esperienza diretta. Questi drammi, poi, ci richiamano alla necessità di realizzare una forte coesione civile per superare il momento terribile in cui si vedono svanire gli affetti d’una vita, crollare le proprie abitazioni ed essere costretti a vivere in tendopoli o campi attrezzati. E’ necessario che tutte le diverse istituzioni (e cioè quelle religiose, lo stato e la sovrintendenza sismica) lavorino insieme e in modo concorde per il bene della popolazione. La società civile deve dimostrare di poter lavorare unita, perché solo così sarà possibile superare il dramma.
Mons. Francesco Cavina è vescovo di Carpi, uno dei centri più colpiti dal terremoto del 20 maggio 2012.
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