La teologia pigra e demagogica di monsignor Pompili
Era sembrato per un momento che l’Italia umile e dolce degli Appennini avesse dato una lezione di ritegno eccezionalmente dignitosa nell’elaborazione del lutto sine ira ac studio. Ci stanno pensando i pm i giornalisti e i preti a riportare all’ordine la comunità nazionale e a farne come al solito una fabbrica di macerie e chiacchiericcio scandalistico per una storia nazionale che non finisce mai
Sua Eccellenza Domenico Pompili, vescovo di Rieti nominato l’altr’anno da Papa Francesco, lo ricordo quand’era portavoce di Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana nella stagione dei criteri non negoziabili e delle battaglie post-ruiniane. Era un disciplinato e intelligente prete in carriera, con un curriculum più che decente. E’ rimasto tale, prete in carriera, ma nella nuova situazione ecclesiale ha creduto di dover spiegare il male, che per il credente è mistero di iniquità e per l’agnostico una componente della vita umana intrecciata al bene, con la cattiveria degli uomini e delle classi dirigenti. Il terremoto fa il paesaggio come lo vuole il Signore dei cieli, ha detto Sua Eccellenza in cagnesco ai parenti dei povericristi morti sotto le rovine della terra che ha tremato, è l’uomo che uccide e provoca il dolore innocente: questo il senso della sua omelia ai funerali delle vittime del sisma di Amatrice. E non senza aggiungere che adesso bisogna ricostruire senza le querelles della politica e i saccheggi dell’imprenditoria (perché il vescovo di rito latino dice querelles? non era più logico e più normalmente discorsivo, meno supinamente giornalistico, più educativo per la lingua che parliamo, dire dispute?).
C’era una volta l’alleanza del trono e dell’altare. Ora c’è la connivenza della mediocrazia e del mainstream o opinione media arcivescovile politicamente corretta. Si rende omaggio alle vittime di un terremoto ingannando spudoratamente i loro congiunti e i sopravvissuti, selezionando obiettivi politici, responsabilità civili, prima ancora di aver definito in modo incontrovertibile la questione. C’è sempre qualche certificato che manca, qualche collaudo fatto male, qualche capro espiatorio all’italiana, la casta per esempio. Ma se i giornali commerciali senza dignità alla fine sono merci che vanno vendute, e il cinismo del commercio non si ferma di fronte a niente, i pastori della chiesa cattolica dovrebbero curare le anime e salvarle, non aggiungersi alla più spericolata e banale e generica denuncia, facendo della teologia del popolo pigra e demagogica. Nessuno starà lì a negare che la società, politica tecnica investitori costruttori controllori amministratori, può fare di più e meglio per cercare di arginare i danni di un terremoto, ma la denuncia astiosa e divisiva, con il senno del poi, con il messaggio della sfiducia politica al posto della speranza di coesione e di ricostruzione, non dovrebbe essere il tratto omiletico di un vescovo italiano.
Per non parlare del prete che ha rimosso dallo spazio liturgico i fiori delle istituzioni e ha denunciato il fatto che le corone costano e i soldi vanno spesi altrimenti, non fiori ma opere di bene, pensando con questo di intitolarsi la guida della comunità avvilita dalla morte e dalla paura, dalla mancanza dei congiunti e dei cari e dall’assenza di senso in quello che è successo. Ma chi li forma questi vescovi e questi preti che inseguono il brusio dell’opinione nella sua ultima incarnazione mediatica? Era sembrato per un momento che l’Italia umile e dolce degli Appennini laziali, marchigiani, umbri e abruzzesi avesse dato una lezione di compostezza e di ritegno eccezionalmente dignitosa nell’elaborazione del lutto sine ira ac studio. Ci stanno pensando i pm i giornalisti e i preti a riportare all’ordine la comunità nazionale e a farne come al solito una fabbrica di macerie e chiacchiericcio scandalistico per una storia nazionale che non finisce mai.
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