Le scontate banalità degli oppositori del #FertilityDay
La leggerezza di Roberto Saviano su tematiche come i figli, la natalità, la fecondità – le stesse del Fertility Day, abbastanza improvvidamente, ma non di meno coraggiosamente, indetto dalla ministra Beatrice Lorenzin per il 22 settembre – è esemplare. Commentando la prima cartolina allegata dalla ministra a corredo della giornata del 22 – “La bellezza non ha età, la fertilità sì” – Saviano scrive che essa “vuol dire, semplicemente, affrettatevi a fare figli: non avete un lavoro stabile? Che importa. Non siete certi che il vostro partner sia quello giusto? Mio Dio quanti problemi vi fate. Forza, procreate, fatelo a cuor leggero, ché dove mangiano due mangiano tre”. Capite, ora, anche da queste tre-righe-tre com’è semplice scrivere da Saviano? La fertilità ha età eccome, nel senso che attorno a 43-44 anni si riduce di otto decimi almeno. La leggerezza savianea sorvola, inavvertita. In Italia non si fanno figli – 1,25 a donna di cittadinanza italiana. Quei pochi arrivano tardi, tanto tardi che il secondo figlio è quasi sempre precluso. A questi ritmi non c’è società che possa reggere. La leggerezza savianea sorvola, inavvertita. E sgancia la sua prima bomba del senso comune: e il lavoro stabile, e il partner giusto, allora? Non contano forse, risponda signora ministra, un lavoro stabile e un partner giusto?
"La fertilità è un bene comune", dice la seconda cartolina del Fertility Day. Commenta Saviano che invece “non lo è. Non è come l'acqua. La fertilità è una caratteristica fisica individuale. Il Ministero della salute dovrebbe fare ricerca e rendere accessibile la procreazione per quelle coppie affette da sterilità e non invitare genericamente a fare figli. Research&development dovrebbe essere la tendenza e invece questi ci riportano al Medioevo”. Senza fertilità che si traduce in figli, non c’è acqua che tenga. La fertilità è o dovrebbe essere quantomeno una preoccupazione comune, pubblica (lo è in tutta Europa, dove non ci si preoccupa di lanciare apertamente campagne nataliste a tutto raggio). La leggerezza savianea sorvola, e sgancia la seconda bomba con l’affermazione “questi ci riportano al Medioevo”. Ora, domando, quanti di voi, pensandosi Saviano e pensando à la Saviano, avrebbero mancato di osservare che “ci riportano al Medioevo” una ministra e un entourage ministeriale che si permettono di osservare che la fertilità è un bene comune? (Tra parentesi: Saviano non s’è dato neppure la pena di leggere il Piano nazionale di fertilità del Ministero della salute, all’interno del quale c’è anche l’indizione del Fertility Day. L’avesse letto, si sarebbe accorto che nel piano c’è proprio ciò di cui lamenta l’assenza, ovvero una forte e ben delineata azione politico-sanitaria “per rendere accessibile la procreazione per quelle coppie affette da sterilità”).
Ma dove la prevedibilità di Saviano è più alta perfino della prevedibilità di uno scudetto alla Juventus è a proposito della terza cartolina di accompagnamento del Fertility Day. "Genitori giovani. Il modo migliore per essere creativi", così recita la cartolina. E così, indefettibilmente, chiosa Saviano: “Da ovazione, in un paese con il tasso di disoccupazione come quello italiano, dove chi ha talento, ambizioni e speranze emigra; dove chi non ha la solidità economica di una famiglia che possa garantire studi e accesso alla professione, lascia il paese, sembra una presa in giro”. Se non avete indovinato lettera per lettera questa terza bomba sganciata con leggerezza da Saviano sull’impertinenza della ministra che si permette pure di fare una battuta sui genitori giovani – letteralmente scomparsi dal panorama demografico italiano, e non certo per i motivi savianei; nei rivoluzionari anni Sessanta, quando c’era ben meno lavoro di oggi, le donne li facevano a 24-26 anni, i figli – scusatemi se ve lo dico ma dovreste cominciare a preoccuparvi dell’Alzheimer.
La rappresentazione dell’Italia da parte di Saviano è un must che si manda a memoria nei salotti del mondo. Di più, non si è ammessi in quei salotti se alla domanda com’è l’Italia non si risponde senza la minima esitazione: “Un paese con un tasso di disoccupazione che levati, dove chi ha talento è costretto a emigrare e chi non ha una famiglia ricca o almeno benestante deve sbrigarsi a correre ad allevare pecore nelle Isole Shetland prima di morire di fame”.
Ma ce ne sono di Saviano, altroché. Giornalisti che non si sono peritate di scrivere di “diktat dello stato”, o quantomeno di “ingerenza” del suddetto. Valanghe di messaggi social scandalizzati rotolate a valle a furia di boati di “l’utero è mio e me lo gestisco io” – slogan liberato per l’occasione dalle ragnatele. Non uno che abbia ricordato il Piano nazionale di fertilità e che sappia lontanamente, Saviano insegna, in che consiste, di che parla, cosa prevede. E allora, ecco qui, cara ministra Lorenzin, la mia conclusione, se pure le va di ascoltarla: faccia il suo mestiere, lasci perdere i Fertility Day, vada per quest’anno ma l’idea non è felicissima, a maggior ragione per l’anglicismo. Cerchi di dare corpo, senza clamori ma nella pratica, alle parti del Piano nazionale della fertilità (troppo lungo, ma nel complesso pregevole) che più possono avere una qualche ricaduta in termini di quella fecondità che se non si alza almeno d’un poco ci lascia tutti a terra. Non si metta neppure a replicare agli insulti e alle beceraggini. Se li scrolli di dosso con un movimento al tempo stesso flessuoso e altero, all’insù, del collo e del mento. Li lasci tutti ai loro pensieri.
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