L'affare della nuova mobilità
Roma. Quando si discute di Uber, di Airbnb e delle nuove aziende della sharing economy, ma più in generale quando si parla di liberalizzazioni, i problemi che si affrontano sono, di solito, quanto rischiano di perdere gli attori già presenti sul mercato, se i salari dei loro impiegati sono adeguati oppure se i prezzi più bassi portano allo sfruttamento, quanto guadagnano le nuove multinazionali e soprattutto quante tasse si devono pagare. Ciò che generalmente manca in questa discussione – e nella concertazione tra la politica e le parti sociali che dovrebbe portare alla scrittura di nuove regole che abbiano come obiettivo l’interesse collettivo o il “bene comune” – è il consumatore. O meglio, quello che a fine ‘800 il sociologo americano William Graham Sumner chiamava “l’Uomo Dimenticato”: “E’ quell’uomo a cui non pensa mai nessuno. E’ la vittima del riformatore. Lavora, vota, di solito prega, ma sempre paga”.
Dell’Uomo Dimenticato si sono ricordati cinque economisti americani – Peter Cohen, Robert Hahn, Jonathan Hall, Robert Metcalfe e Steven Levitt (economista alla University of Chicago e autore dei besteseller “Freakonomics”) – che in uno studio appena uscito hanno stimato il surplus del consumatore di Uber. Il surplus è la differenza tra il prezzo che una persona è disposta a pagare per un servizio e il prezzo di quel servizio sul mercato, si tratta in pratica del guadagno o del risparmio, in ogni caso del beneficio, del consumatore. E nel caso di Uber è molto alto: 2,88 miliardi di dollari l’anno per gli utenti di quattro grandi città analizzate, che sono 6,76 miliardi l’anno se proiettati su tutti gli Stati Uniti.
Utilizzando 50 milioni di dati e richieste dei consumatori di UberX – il servizio più economico di Uber (per intenderci quello che è stato chiuso dai tribunali in Italia) – dei quattro mercati più importanti del 2015 per la società californiana (Chicago, Los Angeles, New York e San Francisco), gli economisti hanno stimato che il surplus del consumatore di Uber è mediamente 1,57 volte più grande del prezzo di una corsa: in pratica per ogni dollaro speso per un viaggio su Uber il surplus ricevuto è di 1,57 dollari. Si tratta, come detto, di 6,76 miliardi di dollari di valore prodotto a favore dei consumatori, ovvero 18 milioni al giorno, oppure di un bonus di 20 dollari per ogni cittadino americano. “La stima del surplus del consumatore è due volte più grande delle entrate percepite dagli autisti e sei volte superiore al fatturato catturato da Uber, dopo aver tolto la quota degli autisti”.
Questi numeri, che variano da paese a paese e che sono tanto più ampi quanto più chiuso è il mercato, ricordano che limitare la concorrenza corrisponde a una tassa sull’Uomo Dimenticato, quello che “sempre paga”. Ma questa stima è probabilmente riduttiva, perché non considera tutta una serie di benefici non direttamente quantificabili, come ad esempio il tempo risparmiato nell’attesa dei taxi che non arrivano perché tutti prenotati, il miglioramento della qualità della vita per quartieri non serviti dai mezzi pubblici, il maggior senso di sicurezza che si ha dal poter chiamare un’auto quando si è di notte per strada. E altri benefici che derivno da altre applicazioni del servizio, come ad esempio la consegna di oggetti, gli ordini a domicilio, il trasporto collettivo, da innovazioni tecnologiche non ancora pronte come l’auto senza pilota o da altri futuri sviluppi neppure ancora immaginati e che dipendono proprio dalla sperimentazione e dagli investimenti, possibili solo grazie alla concorrenza e alla libertà di mercato.
Ma perché l’Uomo Dimenticato è tale anche se è maggioranza? Perché il suo beneficio è condiviso con milioni di persone e si contrappone a quello concentrato di chi guadagna da un mercato chiuso, che si organizza per fare lobby sui decisori politici. In democrazia si decide in teoria per il “bene comune”, ma in pratica vince l’“interesse organizzato”. Così i consumatori italiani si attaccano al tram.
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