Le parole (al solito) insignificanti di Salvini e il futuro sciupato da Grillo
SALVINI O LA LEGGE DI PAVLOV
Non c’è niente da fare: appena si presenta l’occasione, il peggior dirigente che la Lega abbia mai avuto (voto 1) la coglie al volo e si lascia andare a un’esternazione eccessiva quindi insignificante, insomma dice volentieri una stronzata: non accetta il lutto per la morte del presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi (voto 10 e lode in memoria) e butta lì che lui e Prodi e Monti andrebbero processati per tradimento della sovranità nazionale, per aver svenduto l’Italia. Come disse Clint Eastwood, Dio non perdona gli imbecilli.
I TALK, COME D’AUTUNNO LA PIOGGIA
Sono tornati i talk e torna la bella processione, un Dibba dietro un Di Maio dietro un D’Alema dietro un Bersani: nelle grandi manovre di conquista dell’opinione in vista del referendum, i ruoli sembrano definiti. Filo renziana e martellante per il sì Rai1, dal Tg1 a Uno Mattina, da sempre filo governativa. Il partito di maggioranza relativa è il suo azionista di riferimento, la definizione ancora insuperata è di Bruno Vespa. Il quale si è presentato alla riapertura della stagione con un Porta a Porta speciale terremoto dove indossava uno smagliante casco giallo (voto 9 a lui, 10 al casco) e per l’inizio della regular season ha confessato il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia.
Ancora incerta la collocazione del Tg3. Fra i talk connessi, Agorà si sforza di dare voce agli uni e agli altri in un’obiettività che vorrebbe essere anglosassone ma si tinge spesso di italico terzismo. Politics e il bravo Gianluca Semprini, vera novità della stagione (voto 8) hanno bisogno di rodaggio (e con il senno di poi di un altro titolo). Con la striscia quotidiana della premiata ditta Santoro & Berlinguer si misurerà meglio il posizionamento della rete.
Comunque non c’è mai scandalo, è bene che un giornalista abbia idee precostituite e preferenze e le faccia capire al pubblico, quelli che non prendono posizione, si nascondono per dare un colpo al cerchio e uno alla botte sono pesci lessi.
La7 è la casamatta, la fortezza del no, si va da momenti di nostalgia della sinistra sinistra, dei Bersani e D’Alema e finanche dei Civati a una fiducia assai osé riposta nei 5 Stelle, è passerella di giornalisti fiancheggiatori accomunati dall’essere in prima battuta contro il premier. E’ così da mattina a sera, fino alle maratone di Mentana, il tutto con un filo di autorità in più dopo l’acquisizione del Corriere della Sera da parte dell’editore Urbano Cairo.
Come si dice che la Cnn è a favore della Clinton e Fox News di Trump, così va detto che La7 è contro Renzi.
PARISI, LAST EXIT
Si sa che Berlusconi non manda mai via nessuno e si mostra pronto ad ascoltare le ragioni di ognuno, perché questo incoraggia la confusione da cui riemerge come dominus incontrastato. Ma i tempi sono cambiati e la resistenza che larga parte della nomenclatura di Forza Italia oppone a Parisi a forza di frasi assassine e sguardi in tralice, benché incoraggiata pare dallo stesso Cav., non funziona: le parole di Romani (a risollevare le sorti di FI ci pensiamo noi) e Brunetta (le nostre primarie, saranno il referendum) sono velleitarie e stupide, le ambizioni di Toti sconcertanti (voto 4).
Tutta questa combriccola non coglie l’essenza della situazione: senza Berlusconi non ci sono i voti, senza Berlusconi nessuno pensa neppure per un attimo di vederli ancora al governo, quali che siano i meriti e i demeriti passati. Davvero credono che la scuola italiana non vada a ferro e fuoco se torna la Gelmini o il pubblico impiego se torna Brunetta? La presenza di Berlusconi sarà virtuale o comunque defilata non si sa ancora per quanto tempo e non si sa nemmeno se potrà tornare in tempo utile.
Invece di fare i gradassi farebbero bene ad avere sempre a mente la loro passata inconcludenza e fare squadra con Parisi, che forse non sarà Churchill ma è volto nuovo e ultima chance per Forza Italia. Se anche lui fallisce, FI finirà come il Milan.
GRILLO SCIUPA FUTURO
Il capocomico ha lanciato un diktat alla Raggi: niente Giochi a Roma è la linea ufficiale del Movimento, punto. E’ uno sciupa futuro, non vuole che nei prossimi otto anni Roma si ridia una sistemata e un’abbellita con soldi freschi per altro stanziati da altri. Per il no ai Giochi sono schierati quelli che non vogliono più grandi lavori perché temono sprechi e corruzione (e che palle, a tutti questi voto 0) e quelli che dicono che a farli ci si rimettono soldi (voto 2). Ora a parte che non saranno i romani a pagare semmai il paese ospitante e magari il Cio, è da perito contabile pensare che si possa organizzare un evento mondiale solo se non si perdono soldi, come se bellezza, prestigio, le sfide di immagine non avessero valore intrinseco.
Non mi pare che le città dove si sono svolte le edizioni precedenti, da Pechino a Londra, siano sul lastrico, al contrario entrambe hanno guadagnato in aura.
Se la Raggi obbedirà, se la sua giunta rifiuterà persino di trattare o di pensare e magari proporre un modo nuovo, originale, più articolato e meno massiccio di organizzare il grande evento, insomma se dicono di no su tutta la linea, Roma non si rimetterà più. Boston almeno ha una delle più prestigiose università del mondo. Roma ha il Colosseo, i rifiuti, i centurioni e i kebab e sarà ricordata come lo strano animale che disse no.
FUORI DI TESTA 1
Al sindaco di Amatrice per altro lodevole per dedizione e simpatia (voto 9) è improvvisamente partita la brocca: forse perché ha bisogno di soldi si è fatto convincere a querelare Charlie Hebdo per le vignette pubblicate sul terremoto in Italia. Ora quelli di Charlie non sono nuovi a cose del genere, hanno fatto sberleffi sui morti, sugli handicappati, sugli infermi, sulle tragedie della strada. Queste sul terremoto non fanno ridere, è questa la vera punizione e se la sono inferta da soli. Non c’era certo bisogno di una querela per difendere l’onorabilità dei comuni colpiti e del paese tutto.
FUORI DI TESTA 2
Non si sa quale mosca cavallina abbia punto Sky (voto 4). Paolo Di Canio (voto 9) lavorava alla redazione sportiva da qualche anno, come consulente per il calcio inglese: ora tutti sanno che Di Canio non è di destra, non è uno che si tatua Dux sul braccio per rimorchiare o ha il busto di Mussolini a casa per provocare. No, è proprio fascista, un autentico fascistone. E allora? E’ stato un bravissimo calciatore, un idolo delle folle italiane e inglesi. E’ un’icona del calcio maschio e intelligente e non poteva essere altrimenti. Come commentatore è simpatico e competente. Fascista era, fascista è e fascista rimarrà. E allora?
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