Consigli non richiesti alla Lorenzin per evitare un altro flop comunicativo
Il #FertilityDay “è stato una grande lezione", ha dovuto ammettere il ministro. Ma con una spesa di 113mila euro ci si sarebbe potuti aspettare di meglio. Forse la prossima volta si potrà studiare qualche caso di comunicazione davvero efficace.
“La campagna per il Fertility Day era proprio brutta”. L’hanno detto tutti e ha dovuto ammetterlo anche il ministro Beatrice Lorenzin, che però scarica la responsabilità sulla struttura: “E’ stata una grande lezione per gli uffici del ministero. Ma io non faccio il comunicatore, dunque mi interessa il messaggio più della campagna in sé”. E ci mancherebbe. Per la rete news Pbs, secondo diversi studi, solo una minoranza delle ventenni conosce ad esempio il fatto che l'età non sia indifferente se si vogliono fare dei figli. Però da un progetto ministeriale costato 113mila euro ci si sarebbe potuti aspettare di meglio. Pretendere di meglio. Tanto più, appunto, vista l’importanza del tema. Non bisogna essere grandi guru della comunicazione o esegeti di Marshall McLuhan per sapere che “il medium è il messaggio” e che oggi una comunicazione efficace – qualcuno direbbe virale, sebbene in ambito sanitario suoni male – passi attraverso contenuti di qualità. Mentre in nove piazze italiane va di scena una contro-campagna e l’hashtag #lorenzindimettiti diventa trending topic, appare evidente che la “grande lezione per gli uffici” è costata un po’ troppo cara. Forse la prossima volta si potrà studiare qualche caso davvero efficace, per potersi rifare. Ecco alcuni piccoli suggerimenti.
Il tema fertilità è piuttosto delicato e numerose campagne, prima di quella italiana, avevano già ricevuto un’accoglienza piuttosto burrascosa. Nel 2011 la American Society for Reproductive Medicine decise di usare foto di biberon spezzati che suscitarono polemiche. A Singapore e in Gran Bretagna identico flop. Ma in Danimarca, una serie di campagne del 2014 ricordavano che “la fertilità non dura per sempre”. Nessun polverone e addirittura un piccolo baby boom con 1200 nascite in più nella sola Copenhagen.
Sul tema della salute sono numerosi i casi positivi a cui guardare. Un’iniziativa pluripremiata è “We Dare You To…”, con la quale la compagnia assicurativa United Healthcare ha incoraggiato tutti a intraprendere piccole abitudini salutari nella propria quotidianità, da documentare con foto condivise sui social media. Il risultato è un’attiva e interattiva comunità online legata al brand.
Nivea ha avviato in Brasile un’operazione per la prevenzione dei tumori alla pelle causati dal sole. L’azienda ha regalato ai bambini una bambola che diventa rossa quando esposta al sole e che torna normale appena si applica la crema protettiva. Il tutto ovviamente raccolto in un video diffuso globalmente.
La fine delle scuole, le giornate lunghe, tanto tempo da passare in compagnia. Ma l’estate è anche il momento in cui aumentano in maniera drammatica le morti di giovani e adolescenti a causa di incidenti stradali provocati dalla stanchezza, l’ubriachezza o la distrazione. L’Arkansas Children’s Hospital Summer ha realizzato una campagna diventata in breve tempo virale, a partire da alcune semplici infografiche e all’invito rivolto a tutti di condividere l’hastag #100DeadliestDays o ad inventarne altri correlati al tema.
A proposito di rischi sulla strada, Transport Agency ha realizzato un’iniziativa su Snapchat per sensibilizzare i giovani sul tema della guida sicura, raccontato con il linguaggio dei Millennials (un po’ troppo fumati), che deve il suo impatto al colpo di scena finale.
Procter & Gamble, nella sua campagna istituzionale per le Olimpiadi "Thank you Mom", ha sfruttato il concetto di empowerment femminile in modo forse un po’ retorico ma con uno storytelling emozionante, dove essere madre è presentato come “il lavoro più duro ma più bello del mondo”.
Certo, il fatto che in lingua inglese esita il verbo “to mammogram” (qualcosa come “farsi una mammografia) ha aiutato, e non poco. Per aumentare la consapevolezza sul cancro al seno e l’importanza di una diagnosi precoce, la Carillon Clinic ha dato vita alla campagna virale #YesMamm. L’hashtag è stato utilizzato bene: permetteva di avere risposte dirette e incoraggiava le donne a prendere un appuntamento presso una sede della clinica. Il potere degli hashtag. E quello degli slogan: “mammogramming your boobs is more important then Instagramming them”.
Saatchi & Saatchi Italia ha realizzato una campagna in occasione della Giornata mondiale sulla sindrome di Down. L’idea è semplicissima: un’email inviata da una madre in attesa di un bambino con la sindrome. La risposta arriva da 15 persone, provenienti da tutta Europa. Il video è stato premiato a Cannes e diffuso anche dall’Onu, incassando oltre 5 milioni di visualizzazioni su Youtube.
Leggere opuscoli noiosi e articoli sanitari complicati può scoraggiare. Per questo Banner Health ha pensato di comunicare attraverso le infografiche. Semplici, simpatiche e che possono essere condivise su tutti i canali social, attirando così nuovi pazienti. Serve un’immagine? Che almeno sia efficace e non realizzata con fotografie di stock. “Nessuna catastrofe naturale uccide come la cattiva alimentazione”, scrive l’Ospedale Nisa, sopra questo tsunami di hamburger.
Il Cesvi festeggia così i suoi trent’anni: un minisito e azioni multicanale, tra cui l’ironico video affidato al collettivo milanese “Terzo segreto di satira”. Carlo, un trentenne “impegnato”, decide (per ragioni ben poco umanitarie) di andare a fare volontariato in Africa.
L’arte è troppo spesso abbandonata in magazzini polverosi o chiusa a chiave dentro i palazzi delle nostre città? Il FAI realizza un video in cui sono gli stessi palazzi storici a raccontarsi. Attraverso il citofono. La chiave per aprire i portoni dimenticati è la curiosità, quella per raggiungere un pubblico giovane (come quello a cui era destinato il pasticciato progetto del ministero), l’uso dell’ironia.
Politicamente corretto e panettone
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