Se anche un pretzel può vincere un Nobel
Un problema di “italianissima” procedura. Parrebbe questa la ragione dell’assegnazione del Nobel per la fisica 2016. Dopo l’evento mediatico mondiale dell’eco della prima onda gravitazionale, ipotizzata e attesa da un secolo, osservata nel settembre 2015 dall’interferometro laser del Ligo (in collaborazione con l’italiano Virgo), tutti avrebbero scommesso sul Nobel ai cacciatori dell’oggetto più enigmatico e controverso della fisica della relatività: le onde gravitazionali, l’ultimo esame per Einstein. Ma è tutto rinviato pare, curiosamente, per un difetto tecnico nella domanda di ammissione della candidatura del Ligo: un banale ritardo. La verità, però, al di là della plausibilità dell’inciampo procedurale, è che non è affatto facile il lavoro dei valutatori dei premi in Fisica nella realtà di oggi. La fisica, dall’ultimo quarto del 900, si è profondamente trasformata, sofisticata, complicata. Per molti versi la stessa relatività e l’originaria fisica quantistica appaiono oggi preistoria: un mondo quasi classico e nostalgico di scoperte, controllabili con la strumentazione tradizionale delle procedure sperimentali e del lavoro classico di laboratorio o di osservazione. Tutto cambiato. Il territorio della fisica è rivoluzionato. L’esplorazione e la ricognizione del suo oggetto riguarda oggi territori di ricerca, all’apparenza insondabili, che sprofondano nelle dimensioni, impensabilmente, minuscole, strane, controintuitive del microcosmo subatomico o in quelle dell’immensamente grande, dei fenomeni che avvengono agli orli dell’universo osservabile. Niente è più, per questa nuova fisica, sufficiente nel corredo concettuale della fisica classica e, anche, di quella della prima metà del 900, Einstein e Bohr compresi.
Uno dei tratti caratteristici della nuova fisica è che si è fatto incredibilmente più sottile il confine tra esperimento e teoria. Un fisico oggi deve lavorare su oggetti in cui la scommessa dell’ipotesi è, irrimediabilmente, più ampia della certezza sperimentale. Un fisico, anche sperimentale, deve assegnare più spazio all’inventiva, alla sfida dell’ipotesi da verificare, al giudizio del peer-to-peer, al rischio dell’errore, al conflitto di scuole e indirizzi. Il fisico oggi, ha scritto Rovelli, è anche un po’ filosofo. Capita sempre più di dover decidere di assegnare premi a dirompenti teorie, a scommesse sulla realtà, più che ad effettivi esperimenti o acquisizioni già catalogabili come scoperte. Non era così fino alla metà del secolo scorso. Ne è testimonianza il genio di Einstein. Non prese mai il Nobel per la sua teoria della relatività, quasi una filosofia e un’ipotesi (rivoluzionaria) sul funzionamento del mondo. Lo prese per il suo esperimento sull’effetto fotoelettrico: un esperimento fisico, di portata immensa ma riproducibile in ogni laboratorio.
Oggi, al contrario, con l’affermarsi sempre più del probabilismo e della stranezza quantistica, i riconoscimenti devono andare, sempre più, a dirompenti innovazioni ma che, spesso, rappresentano necessariamente previsioni più che effettive scoperte. Tipico il bosone di Higgs, ad esempio. Sir Peter Higgs (con il fisico belga Englert) ha conquistato, nel 2013, il Nobel quarant’anni dopo la teoria da lui formulata: l’origine della massa delle particelle elementari. Per quattro decenni la sua è stata una pura ipotesi predittiva ( ovviamente con solidi indizi) sul funzionamento della materia subatomica e su un decisivo dilemma fisico: perché esistono tante e differenti particelle? Persino la convalida della previsione con la prova al Cern dell’esistenza effettiva del bosone deve rispettare comunque insolite cautele: la materia quantistica è veramente irriducibile a certezza assoluta. Questo concetto classico di certezza, nella fisica contemporanea, ha dovuto, irrimediabilmente, concedere territorio a quello di probabilità: la vera rottura epistemologica della fisica quantistica, della nuova fisica. Si pensava, ottimisticamente, ancora meno di un secolo fa, che lo spazio delle certezze, della conoscenza oggettiva della realtà sopravanzasse, in fisica, quello dei dilemmi e delle cose sconosciute, delle domande inevase. E invece, relatività e quantistica ci espongono a un paradosso: più conosciamo del funzionamento della natura più aumentano le domande inevase.
Dopo solo 60 anni la realtà della fisica è l’opposto dell’ottimismo conoscitivo illuminista del 900: nel macrocosmo la fisica deve fare i conti con fenomeni sconosciuti (materia oscura, energia oscura) che contano per oltre il 90 per cento nella contabilità delle cose che non comprendiamo del funzionamento dell’Universo; nel microcosmo il mistero della materia esotica è l’espressione elegante con cui rileviamo dimensioni, comportamenti, stati inediti e impensabili, sinora, del comportamento della Natura. Il concetto stesso di strumenti di indagine, di laboratorio, di macchina sperimentale per le scoperte fisiche del nuovo secolo cambia profondamente. I territori della fisica si fanno così profondi, variegati, lontani spazialmente (nel microcosmo e nel macrocosmo) che l’esplorazione, l’osservazione e la verifica sperimentale implicano sofisticazioni tecnologiche, quasi inconcepibili, solo 60 anni fa: pensiamo ai grandi acceleratori (il solo modo per penetrare le profondità della materia e il mistero delle sue origini); pensiamo agli interferometri giganteschi che devono catturare oscillazioni, onde, rumori dalle dimensioni impercettibili; pensiamo agli osservatori radio e ottici collocati nello spazio interplanetario per cogliere dinamiche e oggetti cosmici che ci restituiscono una realtà del tutto impensata e sconosciuta del cosmo. In questa dinamica è quasi impossibile, ormai, pensare alla scoperta in fisica come un lavoro individuale. Niente è più afferrabile attraverso il lavoro di un unico scienziato. Solo il lavoro di team e il collegamento di rete dei cervelli, degli sperimentatori, dei fisici teorici, dei tecnici delle grandi macchine e impianti di osservazione e sperimentazione garantisce il risultato scientifico.
Ogni premio in fisica oggi è il riconoscimento ad un grande cervello collettivo, ad un general knowledge che è il vero protagonista della scoperta, dell’innovazione, dell’ipotesi teorica. No. Non è affatto facile assegnare oggi un Nobel in fisica. Non è semplice il mestiere dei valutatori. Prendiamo il Nobel assegnato ieri. Scuota già l’oggetto del premio: “Studi sulle transizioni di fase topologiche della materia esotica”. Non uno ma due aggettivi di riferimento dell’oggetto del Nobel che sembrerebbero allusioni misteriose o stravaganti: topologico ed esotico. E alludono, invece, a concetti e ipotesi di portata incommensurabile. Con topologiche si intende in fisica gli stati, le forme le configurazioni che, in determinate condizioni fisiche, la materia atomica può subire senza sottostare a rotture o aggiunte di pezzi. Detto così resta di difficile comprensione. Spesso nella nuova fisica per raffigurarsi una cosa difficile da afferrare si ricorre a figure tratte dalla realtà che avvicinano il concetto. Celebre lo spaziotempo curvo di Einstein che viene raffigurato nella forma della tovaglia di tela deformata da una palla pesante posta al suo centro. Straordinaria la trovata della giuria del Nobel di rendere percepibile il concetto di topologia con l’esempio del bagel, del pretzel e del panino: tre forme di pane di diversa topologia, perché, contenendo buchi nella loro differente forma, nessuna è traducibile nell’altra senza rotture di continuità. David Thoulesse, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz hanno studiato le inedite forme e proprietà geometriche cui la materia va incontro durante cambiamenti del suo stato che non comportino rotture di continuità: tutte le forme che assumerebbe un panino senza diventare un bagel, senza rompersi o bucarsi. Rispettando, insomma la sua topologia. Sino a metà del secolo scorso delle forme topologiche che la materia poteva assumere si conoscevano solo alcuni stati possibili: solido, liquido, gassoso, plasma. Già negli anni 40 si aggiunse la conoscenza di altri possibili stati della materia: il condensato Bose-Einstein o quello di Fermi-Dirac che indagano, rispettivamente, il comportamento di bosoni e fermioni in temperature vicine allo zero assoluto. Ma è con i progressi della fisica quantistica che si è dischiusa un intero continente di stati e comportamenti della materia in condizioni di realtà esotica. Vale a dire: in condizioni dominate dalla prevalenza degli effetti quantistici rispetto a quelli della realtà macroscopica che conosciamo. Negli acceleratori di particelle, in fenomeni come i raggi cosmici (la radiazione invisibile che dallo spazio profondo colpisce ogni secondo la terra), in condizioni di decadimento radioattivo si formano particelle e configurazioni degli atomi assai diverse, morfologicamente e come comportamento fisico, dalla materia che conosciamo in forma liquida, gassosa, solida o di plasma. Questi atomi o particelle diverse consentirebbero, probabilmente, se potessimo utilizzarli, facoltà e utilità di straordinaria portata.
La materia nella forma di quegli atomi significherebbe, forse, avanzamenti epocali in termini di superconduttività elettrica e magnetica, fluidità e velocità, moltiplicazione degli spazi di utilizzo fisico, forza e resistenza delle catene atomiche che potrebbero rivoluzionare tipi e tecnologie dei materiali, velocità e portata dell’informatica di nuova generazione (computistica quantistica), usi energetici. Davvero un salto di civilizzazione tecnologica. Il problema sinora era questo: questa materia esotica era inconoscibile. Per un fatto pratico: compariva in modo effimero in alcune condizioni (raggi cosmici, acceleratori, radioattività) ma durava poco. Cioè decadeva e scompariva in un tempo microscopico.
Noi definiamo questa materia come esotica per questo: esiste (come esiste tutta la strana fisica quantistica) ma è nascosta nei recessi del microcosmo e, soprattutto, dura poco. E’ inafferrabile e, dunque, incontrollabile. Ma la sua applicazione schiuderebbe territori immensi al progresso delle tecnologie. Thoulesse, Haldane e Kosterlitz hanno dischiuso una nuova frontiera: dare realtà a ciò che era, sinora, misterioso, effimero ed esotico. Un bel passo.