Libertà, indietro tutta: liberalizzazioni bocciate alla prova del fast food
Roma. La querelle tra McDonald’s e il comune di Firenze non poteva che finire davanti al Tar, come ogni controversia italiana nata da un regolamento comunale, che rimanda al disciplinare attuativo, le cui deroghe sono valutate da un’apposita commissione, secondo quanto disposto da un allegato. La multinazionale americana ha deciso di portare Palazzo Vecchio in tribunale, chiedendo un risarcimento di 18 milioni di euro di danni d’immagine, per la mancata autorizzazione all’apertura di un ristorante in piazza Duomo sulla base del regolamento comunale per la tutela del “Centro storico patrimonio dell’Unesco”.
Possono aprire solo gli esercizi che vendono per almeno il 70 per cento del totale prodotti del territorio e della tradizione toscana. A vagliare e vigilare, oltre ai vigili e ai Nas chiamati a controllare che fagioli e olio siano toscani, una commissione di 5 saggi che valuta la qualità del progetto, il pregio delle vetrine e il rispetto della tradizione. Il tutto secondo il principio che è tutto vietato tranne ciò che è derogato. Mentre in tema di riforme il premier Matteo Renzi parla di velocizzazione, semplificazione e sburocratizzazione, proprio dalla sua città emerge quanto poco sia stato fatto sulle liberalizzazioni.
Inizialmente McDonald’s sembrava aver raggiunto un accordo con il comune per l’apertura di un punto vendita di alta qualità: servizio ai tavoli, libreria, niente insegne, “tutti elementi che rispecchiano la visione alla base del regolamento Unesco”, commentava l’assessore fiorentino allo Sviluppo economico. Ma dopo le proteste dei cittadini sui social network, il sindaco del Pd Dario Nardella ha sbarrato la strada alla multinazionale, anticipando un diniego poi confermato dalla “commissione tecnica”. Così la catena di fast food ha deciso di far causa al comune per violazione delle normative europee sulla concorrenza. Il regolamento, inizialmente nato per arginare la proliferazione di minimarket che vendono alcolici, passando dall’enunciazione di un principio alla stesura dei dettagli, si è trasformato in un gioco a punti controllato da una “polizia gastronomica”.
Tutti i nuovi ristoranti, compresi quelli senza bisogno della deroga della “commissione”, dovranno raggiungere almeno 30 punti mettendo in vendita i prodotti tipici inclusi in una lista della regione Toscana: 3 punti per i prodotti certificati, 2 punti per quelli di filiera corta, 1 punto per quelli made in Toscana. Il paniere però deve essere misto, quindi “se viene scelto un vino Dop che vale 3 punti” gli altri prodotti “non dovranno essere vini, ma birra, distillati, olio, legumi”. Ma il divieto di sommatoria non vale per le carni bianche: “Ipotizziamo il coniglio di filiera toscana che vale 2 punti – recita il disciplinare – sarà possibile selezionare anche il pollo che concorrerà al punteggio”. Pertanto chiunque voglia aprire qualcosa dovrà fare una raccolta punti, mettendo sugli scaffali la “Farina di castagne della Lunigiana”, il “Fungo di Borgotaro”, il “Fagiolo di Sorana” e così via, fino ad arrivare a 30 punti, con i vigili a controllare che la somma sia giusta, altrimenti si chiude.
Non si sa cosa potrebbe accadere se McDonald’s proponesse di mettere un angolo-vendita di prodotti toscani in modo da raggiungere i 30 punti, forse il sistema andrebbe in tilt e ci sarebbe bisogno di un’altra delibera con ulteriore allegato al disciplinare, ma in ogni caso la cosa paradossale del regolamento è che si applica solo alle nuove attività, quindi in centro non verrà inaugurato il nuovo McDonald’s versione “chic” ma resteranno aperti i vecchi “fast food”.
Regolamenti “autarchici” vengono ormai imposti da tutti i comuni, ognuno con le proprie motivazioni. A Padova l’obiettivo del sindaco leghista Massimo Bitonci non sono tanto le multinazionali ma i kebab: chi non serve almeno il 60 per cento di prodotti veneti non potrà aprire. A proposito della riforma costituzionale Renzi ricorda che per velocizzare le cose “basta un sì”, ma in tema di liberalizzazioni non bisogna dimenticare che se l’economia è lenta è perché servono troppi sì. E intanto il Ddl Concorrenza è bloccato in Parlamento da quasi due anni.