La polemiche sulla Salerno-Reggio Calabria, una mostra e le responsabilità del sud Italia
Tra una settimana verrà consegnata ai suoi territori. È l'opera pubblica nella cui storia geomorfologia e antropologia sociale si intrecciano
"L'autonomia delle regioni è bellissima, ma è pure un problema: in questi giorni abbiamo perso un'occasione per risolverlo". Leandra D'Antone, docente di storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma, non ha mancato di riferirsi al referendum costituzionale nel suo intervento durante l'inaugurazione della mostra "Verso il Mediterraneo, sezioni del paesaggio da Salerno a Reggio" (dal 15 dicembre al 14 febbraio, presso l'Istituto centrale per la grafica, a Palazzo Poli, Roma) promossa dall'Anas in collaborazione con il Museo MAXXI e l'Istituto centrale per la grafica e dedicata all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, che tra una settimana esatta tornerà percorribile nel suo intero. L'effettiva compiutezza dei lavori, come da tradizione, è già oggetto di agguerritissimo assalto mediatico: "un plico degno della migliore comunicazione renziana", ha scritto Lidia Baratta su Linkiesta; "L'Anas corre sulla corsia d'arrampicamento", ha scritto Il manifesto, implorando il neo Premier, Paolo Gentiloni di "risparmiarci la sceneggiata del 22 dicembre").
La storia della A3, dopotutto, è una storia di rimandi, promesse tradite, non-finito (nulla a che fare con quello michelangiolesco). Tuttavia, tra una settimana, l'opera pubblica nella cui storia la geomorfologia s'è intrecciata all'antropologia sociale come forse mai s'è visto accadere nella storia delle infrastrutture, verrà consegnata ai suoi territori, all'Italia delle province, delle regioni, al Sud più sfigato e irraggiungibile. E la sfida meno proclamata, ma probabilmente più importante, sarà la gestione di questo gigante nuovo e vecchio. Il riferimento di D'Antone, che l'A3 l'ha studiata per scriverne nel suo "Senza pedaggio. Storia dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria" (Donzelli, 2008), arriva dopo la dichiarazione di Armani, presidente dell'Anas, sulla presenza di un piano di gestione e mantenimento dell'infrastruttura che, naturalmente, non sarà onere degli enti locali, gli stessi che, per decenni, sono stati ritenuti incapaci di assumere un ruolo tanto complesso. Anzi: era il Sud, era quel Sud tra Pollino e Magna Grecia a essere ritenuto, sotto sotto, inadatto a ospitare e gestire un'opera pubblica come un'autostrada. Prima che, nel 1961 (Fanfani premier, Benigno Zaccagnini ministro dei Lavori Pubblici), la Salerno- Reggio fosse considerata una priorità, esistevano leggi che imponevano che almeno il 25 per cento degli investimenti per le autostrade venissero fatte al sud, ma "chi doveva pretenderne il rispetto, le regioni del Mezzogiorno, se ne dimenticò", nota Pino Aprile nel suo "Terroni!" (Piemme, 2013). Per l'Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale, cui si devono i primi progetti per la costruzione delle autostrade, in Italia), invece, al sud c'era scarso traffico e molta indolenza amministrativa: investire non valeva la pena.
E’ una storia remota, ma ancora tangibile e che sostanzia quella idea di "ineluttabile meridionale" (con dentro le cattive politiche sul sud, l'abbandono, l'insuccesso cronico cui le grandi opere sembrano destinate in questo paese) che, nell'immaginario collettivo, aiutato da inchieste impietose (come quella di Gatti, pubblicata a giugno scorso da L'Espresso), la A3 ha finito col rappresentare. La mostra scava esattamente dentro quell'immaginario e, senza cercare di ribaltarlo, racconta la storia della relazione che i luoghi della Salerno-Reggio Calabria hanno intessuto con l'opera. Tra il governo Fanfani, lo stallo tra il '74 e l'87 e le iniezioni del governo Craxi, poi Prodi, è accaduto che la Sa-Rc è diventata, nella percezione collettiva, quasi un'area da Manifesto del Terzo Paesaggio di Gilles Clement (in Italia edito da Quodlibet), quello "costituito dall'insieme dei luoghi abbandonati dall'uomo […] lo spazio che non esprime né potere, né sottomissione al potere". E invece, grazie al cielo, il rischio di questa terzietà da decrescita felice, è scampato.
Le foto che l'Anas ha deciso di mettere in mostra (undici autori, di età diverse), sono la testimonianza di un'interazione in essere e, per certi versi e tratti, felice, certamente assai domestica, tra città e paesaggio, città e infrastruttura, cultura e servizio, velocità e crescita. In una delle sale espositive, a disposizione del pubblico, ci sono alcuni visori 3D: li si indossa e si è immersi nei cantieri della nuova Sa-Rc, con un video a 360 gradi che sfrutta la realtà aumentata tramite gli smart-glass e la realtà virtuale tramite i visori. Un video di tre minuti che, almeno per un po', spazza via "Romanzo Popolare" e Tognazzi, che giustamente irridevano il gigantismo retorico che per decenni ha fatto di un'opera pubblica lo zimbello di governi, ma pure di popoli (stridente, no?).
Della bellezza paesaggistica che l'autostrada valorizza, ha scritto su questo giornale Antonio Pascale, qualche mese fa. E dello stupore per la sua scorrevolezza, persino non in antitesi con l'idea un po' sorniona dello scorrere del tempo che si ha al Sud. Che l'A3 sia “un'opera d'arte e ingegneria” (che connubio vertiginoso!), un elemento di lessico politico e familiare e quasi un soggetto morale agente, invece, lo hanno colto gli artisti chiamati da Anas e Maxxi.
"Il paesaggio è un testo unico dell'educazione del nostro sguardo ed è oggetto di continua perifrasi. Il paesaggio è un'enciclopedia. Una delle responsabilità più grandi sta nel comprendere che il progettista o il fotografo, chiunque agisca sul paesaggio, con il suo lavoro partecipa e interviene nel corpo di questa Enciclopedia", hanno scritto i due curatori della mostra, Emilia Giorgi e Antonio Ottomanelli.
La responsabilità di questa enciclopedia, però, è una consegna per tutto il paese. Regioni e cittadini meridionali in testa: obsoleta o all'avanguardia, incompleta per tendenza o per volontà o per cultura, la strada è servita. Darle vita e cammino sta a noi.
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