Chi sono i jihadisti provenienti da Tunisi che da vent'anni fanno base in Italia
Anis Amri compiva reati comuni in Sicilia. Ma dagli anni 90 c’è un triangolo oscuro Milano-Brianza-Cremona. Reti e (poche) espulsioni.
Milano. La nostra intelligence nega che il super ricercato Anis Amri, il tunisino ritenuto l’autore della strage di Berlino si sia radicalizzato nelle carceri italiane. Eppure, sbarcato nel 2011 a Lampedusa, gli investigatori che si occupavano di immigrazione clandestina se lo ricordano bene. Stazza da pugile, entrava e usciva dalle carceri siciliane per reati comuni. Bisogna chiedersi come mai, una volta espulso ma respinto dalle autorità tunisine, sia finito in Germania. E’ ancora presto per conoscere a ritroso tutti i suoi movimenti in Italia e capire dove e quando sia scattata la molla che ha convertito un criminale comune all’islamismo, ma dobbiamo porci qualche domanda sul fronte tunisino che in Lombardia – fra Milano, Cremona e la Brianza – è sempre stato attivo, sin dagli anni 90. La cronologia delle indagini, degli arresti e delle espulsioni riguarda diversi gruppi tunisini che ruotavano intorno alla moschea di viale Jenner, crocevia per i combattenti che andavano e venivano da Afghanistan, Bosnia, Iraq. E dimostra l’iperattività di tunisini, spesso contigui ai marocchini, nelle reti integraliste. Come il gruppo di Ansar al Sharia, poi finito nelle file dell’Is in Libia. Fra loro c’era anche Fezzani, attivo in Italia tra il 1997 e il 2001. Allora non era una figura di primo piano, ma poi in Libia ha scalato i vertici dell’Is. Detenuto a Guantanamo, tornò in Italia nel 2009 ed espulso nel 2012. Nel 2014 Fezzani è stato condannato definitivamente a Milano per associazione a delinquere con finalità di terrorismo. E infine preso recentemente in Somalia. E anche se la nuova leva dei terroristi è di persone di seconda generazione, forse c’è stata in qualche caso una staffetta con i primi combattenti.
Infatti un tunisino espulso a Como recentemente perché faceva propaganda per l’Is è finito anche lui nelle indagini sui gruppi della galassia di Al Qaeda che operava fra Como, Gallarate e Varese. Secondo gli inquirenti Mohamed Belgacem Belhadj avrebbe combattuto nei Balcani. Dopo trent’anni in Italia, pare avesse rapporti con reclutatori in Svizzera. Gli investigatori che se ne occuparono allora, negli anni 90, erano convinti che fosse stato espulso: invece viveva ancora in Italia. Poi tantissimi che facevano e fanno attività logistiche finalizzate a supportare il jihad con documenti falsi, alloggi, finanziamenti.
E’ impressionante vedere l’elenco degli arrestati, espulsi che sono in maggioranza della stessa nazionalità. Nel gennaio del 2015 è stato espulso da Novara Ben Salah Brahim, poi seguito dalla moglie immortalata con il velo integrale mentre si recava all’aeroporto. Due tunisini trovati nel settembre del 2015 fra i profughi in Sicilia avevano rapporti con le milizie dell’Is. Sahbi Chriaa, 37 anni, tunisino nato a Montreuil e residente a Bordeaux, arrestato il 10 gennaio scorso per resistenza alla polizia. Espulso dall’Italia, si era radicalizzato in carcere, in Francia, ma anche in Italia sono tantissimi i tunisini finiti in galera per spaccio o reati minori e poi confluiti nella rete integralista dentro le celle. E ancora: è tunisino il giovane spirante martire che voleva andare in Siria, grazie alla rete albanese, salvato dai genitori, che era stato indottrinato via Skype dal cugino poi morto in Siria. Insomma l’elenco è lungo (dopo la rivoluzione dei gelsomini, nel 2011 sono arrivati 22 mila tunisini in Italia) ma a a differenza degli anni 90 sono soprattutto giovani che si radicalizzano in poco tempo.
Ma c’è un filo rosso che lega le cellule della galassia di Al Qaeda del passato ai lupi solitari del presente. La paura dei tunisini, noti per essere i più accaniti nelle trincee e meno sul fronte dell’ideologia è tale che recentemente è partito un allarme sulle occupazioni abusive dei tunisini nel ghetto del quadrilatero di San Siro, dove il viavai viene sorvegliato dai servizi segreti perché si teme possano creare enclave islamiste negli alloggi popolari, dove ci si affida al racket degli appartamenti sfitti gestiti da maghrebini.
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