L'inadeguatezza della Pa italiana alla prova delle emergenze
Scuole evacuate a caso e terremotati al freddo. Il problema italiano è la frammentazione istituzionale, la mancanza di direttive chiare e uniformi sull’intero territorio nazionale
Le calamità che hanno colpito negli ultimi anni L’Aquila, Roma, Genova per tre volte, la Sardegna, la Toscana, l’Emilia Romagna, le Marche, il Lazio, l’Umbria e ancora l’Abruzzo, impongono un cambio di paradigma della Pa, che non può limitarsi alla gestione dell’emergenza, ma che inevitabilmente deve ricondursi a un’azione strategica con il coinvolgimento di tutti gli attori in campo. Il comune denominatore che leggiamo ogni volta a consuntivo, infatti, è quello di amministrazioni incapaci di pianificare perché non hanno ancora elaborato un codice di gestione omogeneo in quanto manca il dialogo tra gli enti.
A Roma nel 2012, a Genova nel 2014 e a Parma nel 2015 abbiamo assistito addirittura a istituzioni dello stato – sindaco e Protezione civile nello specifico – che si sono accusate reciprocamente, a conferma della disorganizzazione che alberga nella Pa quando si tratta di prevenire e gestire situazioni di crisi. I fatti di cronaca delle ultime ore, con la capitale dell’Italia nel caos dopo le quattro scosse di terremoto che hanno nuovamente colpito il centro Italia perché nessuna istituzione era in grado di impartire una direttiva lasciando addirittura alle singole maestre l’onere e la responsabilità di decidere cosa fare con gli studenti, hanno messo ancora una volta sul banco degli imputati la Pa e la sua cronica inadeguatezza nel procedere a una corretta analisi del rischio, che presuppone una capacità di predisporre in modo efficiente la propria struttura organizzativa.
I momenti di grande tensione acuiscono una struttura per nulla o poco organizzata, come continua a essere la Pa italiana, la cui precarietà viene messa a dura prova quando si tratta di confrontarsi con situazioni e problemi che hanno un impatto così forte anche sulla pubblica opinione. La mancanza di organizzazione, infatti, si riflette anche sulle azioni di comunicazione istituzionale, che peccano ancora per l’assenza di una cabina di regia ordinata, e nonostante la fragilità del territorio italiano richieda anche un impegno forte in tal senso, gli enti continuano a non dialogare o a dialogare in modo intermittente (solo tre Comuni su cento informano i cittadini su come prevenire e arginare i rischi, Fonte Legambiente). Dall’analisi del rischio potenziale alla sua divulgazione alla comunità locale il sistema della Pa deve ragionare e pensare all’unisono, evitando di incorrere in inutili parcellizzazioni organizzative, che amplificano l’effetto negativo dell’emergenza, disperdendo in modo inutile risorse preziose, come è accaduto ad Amatrice dopo il sisma del 24 agosto.
Il problema italiano, infatti, rimane la frammentazione istituzionale, la mancanza di direttive chiare e cogenti uniformi sull’intero territorio nazionale. Il governo non si limiti a osservare e identificare i migliori esempi disponibili (l’Umbria dopo il 1997 ha elaborato un sistema di procedure omogeneo realizzando anche fisicamente il Centro unico di Protezione Civile a Foligno), ma poi li faccia applicare ovunque in modo rapido ed efficace. Le condizioni climatiche eccezionali di questi giorni, inoltre, hanno confermato ancora una volta che il pauperismo energetico propugnato da alcuni non si coniuga con il progresso e con il sistema globale. In Abruzzo da tre giorni centomila cittadini sono senza luce e riscaldamento. In questi giorni tutte le aziende dell’automotive in provincia di Chieti (il secondo polo più importante del settore in Italia) non hanno potuto lavorare per mancanza di energia elettrica. Negli ultimi anni una parte della comunità abruzzese si è distinta per una presa di posizione netta contro gli investimenti di Terna, che voleva potenziare gli elettrodotti esistenti, sostituendoli con impianti più moderni e meno impattanti sotto il profilo ambientale.