Quel “pericolo di disastro ambientale” che lo era solo per i pm
L’assoluzione di Franco Tatò in un processo monstre contro l’Enel di Porto Tolle. Si può fare impresa così?
Roma. “E’ una vicenda kafkiana, un assillo costante che ha percorso gli ultimi quindici anni della mia vita. E che mi ha indignato perché, quando una pm sconosciuta sproloquia in aula gettando discredito sulla sua persona, l’indignazione è inevitabile”. Franco Tatò è un fiume in piena. Mercoledì sera, intorno alle diciotto, suona il telefono, all’altro capo del filo risuona la voce squillante dell’avvocato: “Abbiamo vinto!”. Dopo la condanna a tre anni di reclusione in primo grado, la Corte d’appello di Venezia ha assolto l’ex ad dell’Enel dall’accusa di presunto pericolo di disastro ambientale causato dalle emissioni della centrale termoelettrica di Porto Tolle, sul delta del Po. Scagionato Tatò al pari di Paolo Scaroni, suo successore alla guida della multinazionale di luce e gas. Il top manager 84enne, famigerato boia di sprechi aziendali, con un’onorata carriera alle spalle in società del calibro di Olivetti, Mondadori e Parmalat, quasi non credeva alle sue orecchie.
“Fino ad alcuni anni fa gli avvocati si avventuravano con maggiore confidenza nella stima degli esiti giudiziari di una vicenda, esisteva un margine più ampio di prevedibilità sulla base di regole certe. Oggi invece il sistema appare completamente impazzito. Da culla del diritto l’Italia si è ridotta a patria dell’arbitrio. La giustizia è un terno al lotto, non le nego che io stesso, pur ritenendomi innocente in ogni istante, ho atteso nella più totale incertezza. La combinazione dell’ordinamento giuridico con i comportamenti applicativi della legge ha determinato un elevato grado di aleatorietà”. Detto in altre parole, lo stato di diritto non se la passa bene. “Per un manager essere indagato e processato è già di per sé un disastro personale. Se una pm imbastisce un castello accusatorio fondato su perizie smentite nel processo, nessuna assoluzione ti ripagherà del danno subito. Con quella macchia nel mio casellario giudiziale ho perso incarichi che mi erano stati prospettati, una condanna di primo grado in certi settori è un impedimento oggettivo”. E non è detto che sia finita: la procura potrebbe ricorrere in Cassazione. “E’ probabile, la affronteremo. L’accusa non regge: esiste un articolo sibillino del Codice penale che punisce chi non abbia intrapreso azioni volte a scongiurare un eventuale disastro ambientale che però nei fatti non si è mai verificato. Da ad dell’Enel avrei dovuto coltivare un sospetto che non ho coltivato, anche perché nel corso del mio mandato non ho mai ricevuto segnalazioni da parte dell’Asl o delle agenzie preposte al monitoraggio del territorio. La domanda è: con una simile impalcatura giuridica chi si arrischia ad assumersi una responsabilità manageriale? Per non parlare dell’eco mediatica internazionale di certi processi clamorosi contro le imprese. Se un top manager può essere inquisito per omicidio volontario, com’è accaduto nel caso Thyssen, chi viene a investire in Italia? Se un imprenditore può essere legalmente espropriato dell’azienda senza neppure una sentenza di primo grado, che immagine diamo della nostra giustizia? L’Ilva non era il paradiso in terra, ma Emilio Riva è stato un grande imprenditore. Il pm di Trani che indaga su Moody’s è un fatto che suscita ilarità tra i colleghi esteri”.
E’ una vecchia storia per il Belpaese: esercizio della giurisdizione e libertà d’impresa fanno a pugni. “Viviamo con una spada di Damocle sopra la testa. Si rende conto che a Vado Ligure hanno messo i sigilli a una centrale elettrica trascinando con sé seicento famiglie sulla base di perizie poi smentite? Chi decide la politica energetica in Italia: il governo o le procure? A Porto Tolle il presunto legame tra emissioni e patologie è stato ritenuto inattendibile dal giudice d’Appello. Attorno alle perizie si muovono interessi opachi e conniventi, è un mondo ben remunerato e poco trasparente. Com’è possibile che il parere di un commercialista di Nuoro, nominato dalla procura, prevalga su quello formulato da un pool internazionale composto dai maggiori luminari (peraltro a spese dell’imputato…)?”. La domanda, da Lenin a noi, è una soltanto: che fare? “La soluzione non è intentare causa al magistrato che sbaglia, pure la separazione delle carriere è un aspetto tattico. La vera questione è: chi li nomina questi magistrati? Chi li controlla? Chi li sanziona? Chi li premia? In Parmalat ho dovuto reintegrare una guardia giurata che durante l’orario di lavoro andava a giocare a calcio. A distanza di anni, mi sono ritrovato lo stesso pretore d’assalto di Milano direttamente in Cassazione. Ho l’impressione che la selezione per il capo di una filiale a Bologna sia più rigorosa di quella improntata per la nomina del pm di Rovigo. E’ una realtà inquietante se si considera che un magistrato esercita un potere enorme e potenzialmente esiziale per un cittadino”. Per il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, sono due i “fattori abilitanti” da cui far ripartire un sistema “strutturalmente in affanno”: giustizia e istruzione. “Il suo è un ragionamento inappuntabile e autorevole, Rossi non è il portiere di palazzo Koch. L’Italia non cresce, e quando si è deboli si diventa preda di scorribande straniere, è la legge del capitalismo”. Secondo il patron di Luxottica Leonardo del Vecchio non si tratta di essere italiani o francesi, siamo tutti europei. “Fintantoché l’Europa resta in piedi… Io credo che l’identità nazionale sopravviva in un contesto globalizzato. Dopo Bernardo Caprotti, Del Vecchio è il secondo grande vecchio che vende piuttosto che lasciare ai figli. Spesso è una scelta saggia per il bene dell’azienda”. Guardando allo stato attuale del paese, quelli della sua generazione si assumono una qualche responsabilità come classe dirigente? “Abbiamo una responsabilità ma non una colpa. Abbiamo agito in buona fede e con onestà, eppure abbiamo fallito. Mi lasci aggiungere che, a differenza di quelli venuti dopo, noi abbiamo studiato. Ho visto il video di un esponente grillino che non azzecca un congiuntivo neanche per sbaglio. E’ una degenerazione che non riguarda soltanto il M5s, la retorica indiscriminata contro i vecchi è pericolosa. La competenza serve”. Lei è un manifesto vivente contro la rottamazione, qualcuno potrebbe insinuare che il suo sia istinto di sopravvivenza. “Il calvario giudiziario mi ha rottamato, altroché. Mi sono state precluse diverse opportunità di lavoro. Adesso spero di recuperare, la pensione uccide e io mi sforzo di rinviare il più possibile quel giorno”.
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