Chi ha ingabbiato Protezione Civile e Commissione Grandi Rischi
I processi agli scienziati e una riforma imperfetta della Pubblica Amministrazione. Così in Italia nessuno vuole prendersi più la responsabilità di decidere e impartire ordini
La miscela esplosiva di terremoto e neve come non se ne vedeva da almeno 60 anni, è stata acuita nelle regioni dell’Italia centrale da una riforma imperfetta della Pubblica amministrazione.
Le Province, infatti, sono state svuotate in questi anni di competenze fondamentali per la gestione del territorio, e il taglio drastico dei trasferimenti dallo Stato centrale ha avuto riflessi inevitabili anche sul blocco del turn-over del personale, che ha determinato la mancata sostituzione di figure fondamentali nelle articolazioni periferiche, depositarie di un patrimonio di conoscenza del territorio che sarebbe stato utile per pianificare ed accelerare gli interventi di soccorso in Abruzzo.
Le calamità naturali degli ultimi giorni, come ho già avuto modo di evidenziare su Il Foglio venerdì scorso, rendono pertanto necessaria una vera riorganizzazione della pubblica amministrazione italiana, senza la quale la pianificazione, l’esecuzione, la manutenzione e la gestione del territorio restano solo considerazioni retoriche, che non si traducono in azioni e atti concreti, ma che, invece, nella realtà dei fatti vanno nella direzione opposta.
Si continua a difettare sul piano organizzativo, prova ne è la nuova Protezione civile anticipata dal premier Gentiloni, che metterà inevitabilmente a confronto nella ricostruzione post sisma l’attuale capo Curcio con il commissario Errani. Chi comanderà tra i due? Chi avrà la responsabilità di prendere decisioni e impartire ordini?
Proprio la parola responsabilità dovrebbe tornare a fare capolino tra le maglie di amministrazioni sempre più slabbrate, dove la politica è debole, dominano i burocrati, mancano i centri di responsabilità che sappiano valutare e individuare i rischi, e dialogare attraverso strategie e procedure condivise.
La settimana appena passata ci ha consegnato un Paese nel quale la parola responsabilità è stato il crinale per distinguere il gesto di alcuni che l’hanno interpretata e continuano a farlo in modo estensivo, arrivando al limite di rischiare la propria vita per salvare vite umane; altri, come i componenti della Commissione Grandi Rischi, ne hanno abusato disegnando scenari che hanno avuto come unico effetto quello di aumentare la sensazione di impotenza delle comunità che soffrono, oltre a creare un vuoto di responsabilità tra i sindaci.
Nessuno in Italia vuole prendersi più la responsabilità di prendere decisioni e impartire ordini. E chi lo fa, paradossalmente, rischia di essere distrutto sotto la scure del potere giudiziario.
La nota con la quale la Commissione Grandi Rischi, organismo consultivo della Protezione civile nazionale, ha ipotizzato nuove scosse di magnitudo 6-7, arrivando addirittura a comparare la possibile crisi della diga di Campotosto con quella del Vajont - che evoca immediatamente paure e disfunzioni amministrative - pone degli interrogativi sulla strategia e sulla competenza con la quale viene gestita la comunicazione di emergenza in Italia.
Nel 2009 quella della Grandi Rischi e della Protezione civile era improntata alla rassicurazione, mentre oggi, dopo il processo agli scienziati, va nella direzione opposta, aggiungendo altro caos alla cronaca degli ultimi giorni, nella quale ancora una volta è stata messa sul banco degli imputati la Pa e la sua cronica inadeguatezza nel procedere ad una corretta analisi del rischio.
Nel 2009, con la convocazione della Commissione a L’Aquila il 31 marzo, fu Bertolaso ad intervenire per contrastare una nota della Regione Abruzzo, nella quale era scritto che le scosse che flagellavano L’Aquila da cinque mesi sarebbero terminate. Questa volta è stato il ministro Delrio a mitigare la tensione del momento, organizzando una riunione al ministero delle Infrastrutture per discutere della situazione delle dighe e rassicurare le comunità locali, i cui amministratori però non sanno che fare, perché gli scienziati gli hanno passato letteralmente il cerino in mano.
Dopo otto anni assistiamo impotenti al ripetersi di eventi che hanno un solo comune denominatore: l’assenza di responsabilità.