Rigopiano e il bisogno di trovare un colpevole dentro una valanga a cento all'ora
Perfino davanti a una slavina di centoventimila tonnellate che si è lanciata sopra l’albergo, in una diabolica alleanza fra terremoto e neve, qualcuno ha subito gridato: “Fuori i nomi”. La tentazione del linciaggio
La tentazione del linciaggio attraversa il dolore, si carica di emotività e di voglia di sfogare la rabbia e la paura addosso a qualcosa, a qualcuno, e subito questa rabbia e questa paura tengono in minor conto l’entità del dolore e del disastro perché hanno individuato un colpevole, e il dolore si mescola a un sollievo rabbioso, che a volte perde di vista la ragione. Perfino davanti a una valanga di centoventimila tonnellate che a cento chilometri all’ora si è lanciata sopra l’albergo di Rigopiano, in una diabolica alleanza fra terremoto e neve, qualcuno ha subito gridato: “Fuori i nomi”. E nonostante il procuratore aggiunto di Pescara, che ha aperto un fascicolo contro ignoti, abbia dichiarato che “tutti i ritardi, i fraintendimenti, le incongruenze e i problemi nella comunicazione che sono avvenuti nel post-valanga hanno avuto una rilevanza causale non epocale, provocando ritardi che verosimilmente sono di circa un’ora”, i giornali il giorno dopo, cioè ieri, hanno titolato sui ritardi e le disfunzioni dei soccorsi, cercando di convogliare il carico di sgomento per le persone morte e intrappolate in albergo sotto la valanga contro un colpevole, in questo caso la sciagurata funzionaria del centro di coordinamento dei soccorsi, che per prima ha ricevuto la notizia della valanga (dal datore di lavoro del cuoco superstite) e non ci ha creduto, ha pensato a un altro scherzo, a un altro falso allarme. Questa signora passerà il resto della vita con il peso del suo errore e con il desiderio di linciaggio di questi giorni, culminato ieri nella trascrizione della telefonata, su Repubblica.
Noi sappiamo quello che è successo a Rigopiano, conosciamo i volti e i nomi delle persone, ci siamo commossi per i bambini salvati dai vigili del fuoco, per i morti, per il bimbo che ha perso entrambi i genitori e che è stato fondamentale per sostenere gli altri bambini (raccontava “Frozen” a Ludovica, sei anni, lui che ne ha soltanto otto, la coccolava, ha tenuto tutti per mano, per due notti nel buio), sappiamo quello che è successo, ci sembra impensabile che la funzionaria abbia detto: “La mamma dell’imbecille è sempre incinta”, certa che la valanga fosse una balla. Noi sappiamo che la valanga era mostruosamente vera, lei riceveva da ore falsi allarmi e forse anche scherzi, aveva parlato con l’albergo due ore prima, e al centro in quegli stessi minuti avevano parlato con il direttore dell’hotel, che però era a Pescara, quindi convinto che non fosse successo niente, e non aveva dato l’allarme. Noi che leggiamo e che abbiamo bisogno di un colpevole non possiamo però non vedere la concatenazione casuale e disperante, gli equivoci, l’esasperazione, le altre emergenze, la facilità di sbagliare. “Due ore fa, le confermo, al 118 hanno parlato con l’hotel. Non le dico una bugia! Ma se fosse crollato tutto, pensa che saremmo qua?”. La funzionaria immagina perfino che qualcuno abbia rubato il telefonino al cuoco. “Abbiamo gente in strada, gente con la dialisi, anziani”: in quelle ore si faceva il possibile, ed evidentemente il possibile, l’umano, contiene errori, ma se questo intreccio di fraintendimenti costruiti sopra la tensione di un’emergenza ha provocato un’ora di ritardo nei soccorsi, come ha detto il procuratore, il sollievo rabbioso non è serio. L’umanità contiene i gesti eroici dei pompieri, la sfortuna di scegliere un posto che sta per essere travolto, la fatale casualità di trovarsi in una stanza invece che in un’altra, oppure in macchina a cercare un’aspirina, il magnifico coraggio di un bambino di otto anni, lo sbaglio di una funzionaria che forse fino a quel momento era riuscita a far arrivare aiuto a tutti. E anche, purtroppo, la tentazione cieca del linciaggio.
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