La raccolta differenziata è uno di quei dogmi contro il quale non si può parlare
E' incivile non farla, ma completamente inutile farla
Uno dei capisaldi inespugnabili del conformismo “ambientalista” (le virgolette vogliono sottolineare la autoreferenzialità della qualifica, che va riferita non a un atteggiamento pro-ambiente, ma a uno schieramento pro-interessi degli autoqualificati ambientalisti, delle loro organizzazioni e dei loro committenti) è costituito dalla raccolta differenziata dei rifiuti. Non dico che sia radicato come il demenziale pregiudizio anti ogm, ma poco ci manca. Il raccogliere i rifiuti selezionandoli in base alla loro natura è certamente una buona pratica, a condizione che dal suo esercizio derivi un vantaggio economico, determinato dall’uso diretto e dall’immissione sul mercato del prodotto della differenziazione; tale pratica può comportare oltretutto considerevoli risparmi nell’acquisizione di materie prime “vergini”, specialmente alluminio, vetro, plastica e carta: l’introduzione del principio di differenziazione e riuso, introdotto nel 1994 in riferimento ai rifiuti industriali, determinò un risparmio stimato a migliaia di miliardi di lire, nonostante l’ottusa resistenza dei burocrati del ministero e dei professionisti del ricatto burocratico. Ma purtroppo quasi mai è così: l’affidamento delle attività di differenziazione, quasi sempre affidato o subaffidato a soggetti diversi da quelli che gestiscono i servizi di igiene urbana, costituisce troppo spesso un’ulteriore occasione per attuare quella che sembra essere la regola aurea della gestione burocratica italiana: rendere difficile il facile attraverso l’inutile, affidandone il compito agli amici e facendo pagare l’operazione ai cittadini. Con costi netti per il cittadino che ammontano a centinaia di milioni l’anno, e ricavi tendenti a zero.
Chi sostiene che una differenziazione spinta è possibile e può azzerare il problema dei rifiuti urbani, mente o non sa quel che dice: tanto per dire, la città di San Francisco, che andava proclamando il raggiungimento del “no waste”, è stata pizzicata a esportare navi cariche di immondizia in Canada, dove saggiamente si fanno pagare per riceverli, e poi ci riguadagnano bruciandoli e vendendo l’energia che ne ricavano: lo stesso processo per il quale parte dei rifiuti (alcuni dei quali vanamente differenziati) di Napoli e Roma prendono il treno o la nave per la Germania o l’Olanda. E poco importa se a pagare sia il comune, il ministero dell’Ambiente o la Protezione civile: sempre di spreco di denaro pubblico si tratta. La verità è che c’è un unico sistema per risolvere il problema dei rifiuti: l’incenerimento, attuato secondo le normative vigenti che garantiscono l’assenza di qualsiasi conseguenza negativa. Il fatto che – tanto citare alcuni casi – Parigi e Monaco si siano da molti anni dotati di inceneritori posti al centro della città dimostra l’assoluta non nocività degli impianti. Se le cose stanno così – e stanno così, vi prego di crederlo – perché la raccolta differenziata è diventata una parola d’ordine alla quale vengono avviate miriadi di scolari e turbe di babbani?
Perché viene considerato incivile e incolto criticarla, o anche solo accennare a qualche dubbio? Dal punto di vista storico non si tratta di un fenomeno nuovo: teorizzata da Goebbels, la teoria per la quale anche bugie grandissime sarebbero state credute da moltitudini di persone alle quali venissero continuamente ripetute (era avvenuto col lancio mediatico del nazionalsocialismo), si è poi verificato molte volte in epoca più recente: vi ricorderete di quelli che giravano col libretto di Mao in mano o in tasca; di quegli altri che negli anni Settanta del secolo scorso credevano che in Italia si vivesse in un regime di oppressione; e via andando con altre scempiaggini e mascalzonate. Del resto, Winston Churchill soleva ripetere: “Prima che la verità si sia alzata e si sia messa i pantaloni, la menzogna avrò compiuto almeno metà del giro del mondo”. Specialmente se il viaggio è finanziato dai cospicui interessi dei bugiardi. E così, oggi stiamo vivendo nel periodo nel quale una ignoranza fortemente diffusa afferma che è crimine orrendo non credere alle cause antropiche del riscaldamento globale; non essere arcigni custodi dei riti della raccolta differenziata; ritenere che sia utile produrre cibo ogm; e un crimine sta diventando anche mangiare carne, o destinare al sollievo dalle privazioni nelle quali si dibattono uomini e bambini risorse che “dovrebbero” essere invece destinate al benessere dei gatti tignosi o dei cani randagi.
E a nulla vale far presente che, se la Terra si scalda per colpa dell’uomo, appare singolare che un riscaldamento sincronico con quello terrestre si verifichi su Marte, dove non c’è né uomo né attività antropica; che possiamo considerare nostri simili gli animali, che furono creati (o si svilupparono: fate voi) senza avere il beneficio dell’anima (o della ragione: fate sempre voi); che gli Ogm esistono da molti decenni e non hanno mai dato luogo a problemi di salute; e così via. In conclusione: ha un senso che ci si impegni affinché i rifiuti vengano prodotti in quantità il più possibile ridotta; è pratica virtuosa ridurne lo spreco riutilizzandone alte percentuali; ma è criminale organizzare una costosissima attività che organizzi la raccolta differenziata, per poi destinare il prodotto della differenziazione a un destino comune con il resto indifferenziato dei rifiuti. Come, per esempio, avviene a Roma, dove l’unica differenziazione che funziona è quella dell’alluminio, dove i mezzi di raccolta dell’alluminio sono sempre semi vuoti: essendo un prodotto piuttosto caro, si dice che provvedano direttamente gli operatori a “smaltire”, rivendendo in proprio con il merito di risolvere un problema. Anzi due, perché è ragionevole ritenere che il ricavato sollevi loro e le loro famiglie da qualche difficoltà derivante dal caro vita.
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