Il "pizzinogate" s'infittisce? C'è Emiliano che lo sgonfia…
Per il pm-candidato, contro di lui solo “millanterie”. E allora per tutti gli altri? L’improbabile caso Consip
Roma. Il pizzinogate s’infittisce. A rigor di logica, se Michele Emiliano è vittima di millanteria, lo stesso potrebbe dirsi per Tiziano Renzi. L’uno è il presidente della regione Puglia che da magistrato in carriera corre per la segreteria di un partito politico. L’altro è il babbo di Rignano, con figlio già premier e in futuro chissà, boccone succulento per chi confonde i tribunali con le succursali delle primarie Pd. Per comprendere il significato della parola “millanteria”, della vanteria boriosa e senza fondamento, il Foglio contatta direttamente Michele Emiliano. La cronista invia un sms al presidente che prontamente richiama. “Buongiorno, dottoressa, come sta?”, Emiliano è un gigante di cortesia. Gli chiediamo ragguagli attorno a un’intercettazione, contenuta nelle carte del Noe, in cui Russo domanda a Romeo se sia interessato a un investimento immobiliare in terra salentina. Russo si vanta di possedere un’abitazione dalle parti di Castro dove sarebbero andati a fargli visita, nell’ordine, Tiziano Renzi, Teresa Bellanova e, sentite un po’, Michele Emiliano. “Escludo nel modo più assoluto che ciò sia accaduto. Non ricordo di aver mai ricevuto alcun invito”, è la secca replica.
Lei, presidente, è proprio sicuro di non essere mai stato chez Russo? Il faccendiere di Scandicci dice a Romeo: “C’ho casa di mia suocera però non andiamo da mia suocera… e insomma abbiamo preso una casa sul mare che poi è venuta Teresa Bellanova, insomma stanno venendo, è venuto Emiliano più volte… ci stiamo divertendo”. ‘Sul punto – prosegue Emiliano – ho risposto per la prima volta al Fatto quotidiano al quale ho pure mostrato gli sms di Lotti, faccenda per la quale attendo di essere ascoltato in procura. Non sono mai stato a casa di Russo”. Superfluo aggiungere che pure Tiziano Renzi dichiara di non esservi mai stato, al pari di Teresa Bellanova che Russo neanche lo conosce: “Lo scriva, per favore, sono stata a Castro per l’esattezza ventitré anni fa con mio marito e il bambino nel passeggino. Io questo signore non l’ho mai visto in vita mia”.
Millanterie, smargiassate, menzogne. E’ la parabola del vanaglorioso Russo che ostenta appoggi politici che non ha, agita connessioni che esistono soltanto nella sua immaginazione, promette “bistecche” e “caffè” che puntualmente non si realizzano. E’ un professionista del name dropping con la c aspirata. Il pizzinogate, si diceva, s’infittisce. Per gli amanti del genere spunta il secondo pizzino, ennesimo simulacro cartaceo riesumato nella spazzatura che, secondo gli inquirenti, chiarirebbe aspetti decisivi dell’inchiesta. Il testo è più o meno identico al primo, cambiano le parole. “Ogni mese, 30.000, T.”, “ogni due mesi, 5.000, C.R.”, un accostamento di cifre e iniziali dal valore probatorio schiacciante, inoppugnabile, del resto chi può essere T. se non Tiziano Renzi? A chi si riferirebbero le lettere C.R. se non a Carlo Russo? Nella tavola ermeneutica dei pm un solo elemento s’incrina: nel secondo, come nel primo pizzino, si fa cenno a “Un incontro con M. e un incontro con L.”, per gli inquirenti partenopei Romeo appunterebbe su carta la ricerca di abboccamenti con Matteo Renzi e Luca Lotti, non può che essere così. Adesso che il fascicolo è di competenza romana, i pm Ielo e Palazzi sono assaliti da un interrogativo: e se M. stesse per Marroni e non per Matteo? Chi può dirlo? Al di là dell’incertezza sovrana, si discetta di incontri che non si sa se siano avvenuti, né tra chi, o se non fossero soltanto nei desiderata dell’imprenditore campano. L’unico punto fermo è l’assenza di prove. Il deserto di prove. Consonanti che si fanno indizio, sospetti, frasi mozzate, allusioni, tanto basta per montare un caso nazionale altrimenti destinato alla plumbea cronaca locale. Nel frattempo Romeo, arrestato lo scorso 1 marzo nel giorno del suo compleanno, resta dietro le sbarre, per il tribunale del Riesame persistono le esigenze cautelari.
I legali annunciano ricorso in Cassazione, contestano l’utilizzabilità dei pizzini in giudizio, agitano una “consulenza grafologica” che escluderebbe la mano del loro assistito e fanno sapere che “i 120 mila euro nel conto di Gasparri corrispondono a una cifra compatibile con lo stipendio di un dirigente del suo calibro”. La procura capitolina punta al giudizio immediato per Romeo, la faccenda della corruzione nei confronti del dirigente Consip si sarebbe cristallizzata con l’autoconfessione dello stesso. Resta distinto, e più fumoso, il filone che riguarda babbo Renzi, accusato di concorso in traffico di influenze illecite. “Nel suo caso non è che le prove siano insufficienti, mancano del tutto”, dichiara l’avvocato Federico Bagattini. In effetti, i punti oscuri sono più d’uno, e il rifiuto di Marroni a farsi sentire dal legale di Renzi senior non ha aiutato. Se passa la “tesi Emiliano”, la millanteria tout court, il percorso verso l’archiviazione è segnato. Nei verbali dell’interrogatorio con i pm partenopei, agli albori della vicenda, l’amministratore delegato di Consip non pronuncia mai il nome di Romeo.
Com’è noto, il manager scaglia accuse nei confronti di Luca Lotti che gli avrebbe riferito dell’inchiesta in corso, è la sua parola contro quella del ministro, Romeo non compare mai. Marroni colloca l’ultimo incontro con Tiziano Renzi a marzo 2016, una versione che coincide con quella del papà dell’ex premier pronto a dimostrare, pure documentalmente, che l’oggetto del colloquio in piazza Santo Spirito a Firenze riguardava la collocazione di una Madonnina di Medjugorje all’interno dell’ospedale Meyer. Al pm Marroni riferisce di aver subito “minacce e pressioni” ma non sporge denuncia, non si confida con nessuno, al contrario, emerge da successivi approfondimenti, l’ad tenta abboccamenti con taluni esponenti del cosiddetto Giglio magico per aiutare professionalmente la propria compagna senza essere accontentato. Bizzarro, no? Che Tiziano Renzi abbia intascato denaro, che abbia incontrato Romeo o si sia occupato di appalti Consip, dell’informe fanfara accusatoria non c’è minima traccia nelle carte dell’inchiesta. E’ per questo che, quando in un editoriale di Marco Travaglio il babbo ha letto testualmente che “Romeo, imprenditore in affari col governo, è in affari col padre del capo del governo”, ha deciso di querelare il direttore del giornale. Per il resto abbondano le intercettazioni come rivoli tempestosi in cui si dimena irrequieto il Russo che adopera il nome Renzi come una parolina magica, l’abracadabra all’ombra del Cupolone. A magic word.
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