Buone cose per cui verrà ricordato Piero Ottone. Il suo Corriere, forse no
Il giornalismo come mestiere elegante e le opinioni sui fatti, un giornalista metodico, cosmopolita, di polita scrittura, di vocazione anglosassone (un po’ mitologizzante) che ha fatto delle notizie separate dalle opinioni il proprio motto araldico
Bisogna cominciare da un omaggio non d’occasione – in questi tempi di fake news incistate sull’uso improprio dei pareri a vanvera – per il giornalista metodico, cosmopolita, di polita scrittura, di vocazione anglosassone (un po’ mitologizzante) che ha fatto delle notizie separate dalle opinioni il proprio motto araldico. Prima da corrispondente a Londra e poi nell’Unione sovietica di Kruscev con la direzione del Corriere di Mario Missiroli e poi da commentatore di fatti italiani ed esteri. E ovviamente da direttore del Corriere della Sera, un signor direttore, quando la tv era ancora poco e i direttori pesavano più delle copie in edicola. Sempre elegante, sempre di mondo, formale. Qualità che hanno fatto a lungo del giornalismo un buon mestiere, con una pretesa di rispettabilità sovente eccessiva, ma così andavano le cose. Piero Ottone è scomparso domenica 16 aprile a 92 anni, a Camogli. Il mare, solcato a vela, era l’altra passione della sua vita. I fatti separati dalle opinioni, così come gli editori separati dai giornalisti che stipendiano, è una delle mitologie più perniciose che abbiano mai veleggiato sul giornalismo. Specialmente quello italiano, così raramente dotato di imprenditoria, così spesso camuffato nelle guerre dei controlli editoriali. E la cifra anglosassone che Piero Ottone ha voluto imprimere alla sua carriera e imporre, senza particolare esito se non un eccesso di retorica, al giornalismo italiano, non fanno eccezione.
“Sarò ricordato per aver fatto scrivere Pasolini in prima pagina sul Corriere”, disse. E seppure lo dicesse con il controtempo di un’aggiunta ironica, “e per aver dato spazio alle previsioni del tempo”, è un fatto che ha lasciato il segno nella storia del Corrierone e del gusto culturale nazionale. Ottone sarà ricordato anche (non soprattutto: soprattutto è un inutile sopracciò) per aver aperto la porta di servizio per la cacciata da via Solferino di Montanelli e con lui di tutta una splendida banda di scrittori liberali come Enzo Bettiza, e per aver relegato nel sommario il nome di Montanelli quando le Br gli spararono. E pure per non aver pubblicato, sul giornale di Milano, la foto del manifestante che spara ad altezza uomo in via De Amicis il giorno in cui morì l’agente Antonio Custra. E qui i soprattutto ci stanno tutti.
Sarà ricordato però, per prima cosa, per la stagione (dal 1972 al 1977) alla direzione del Corriere della Sera di Giulia Maria Crespi. La stagione dell’apertura a sinistra, al Pci, nell’epoca della contestazione. La stagione dell’eskimo in redazione e del sovversivismo delle classi dirigenti. Praticato sempre con garbo e à plomb, negli anni di piombo. Un collateralismo a sinistra che ha segnato in profondità la storia del paese e della sua classe imprenditorial-dirigente, ed è stata una delle ultime volte in cui il Corriere riuscì nell’impresa. Non si starà a dire che con molta probabilità il Corriere di Piero Ottone era collaterale alla parte sbagliata della storia, perché poi la storia fa per conto suo certe giravolte, come gli sbuffi di vento sul mare davanti a Camogli, ed è inutile raccapezzarsi, col senno di poi. Lui comunque non lo fece mai. Anche se l’Italia invece che di bolina è andata un po’ alla deriva. Il funerale non verrà celebrato. Un saluto.