Ecco la monnezza, guaio di tutti i cialtronismi politici
Puoi anche chiamarla “materiale post uso”, ma non puoi nasconderla
Forse non amano le deduzioni euclidee, o forse l’evidenza deve apparirgli banale, una cosa gretta, roba da vecchia politica, una fake news al di sotto della soglia della loro perspicace intelligenza di persone che non se la bevono, e alle quali dunque non gliela si fa. Perché altrimenti non si spiegherebbe come, fino alla settimana scorsa, Virginia Raggi e Pinuccia Montanari, che sono rispettivamente il sindaco e l’assessore all’Ambiente di Roma, potevano spingersi ad esclamare, con il gelato sorriso di chi ha dalla sua parte una logica inoppugnabile, che nella Capitale d’Italia “non c’è nessuna emergenza rifiuti” – concetto superato come la democrazia rappresentativa – ma solo un temporaneo accumulo di “materiali post consumo”, ovvero di “risorse in grado di creare nuovi posti di lavoro green”. Pochi giorni fa la signora Montanari s’era pure allegramente lasciata andare a manifestazioni d’entusiasmo, quali: “Non ho mai visto un topo a Roma”.
E questo mentre ciascuno, intanto, passeggiando per strada, poteva osservare per conto proprio cumuli di monnezza – pardon: di materiali post consumo – agli angoli di via Panisperna, cassonetti stracarichi a piazza Trilussa, e parchi cittadini, come quello di Colle Oppio, non dissimili da una giungla o da una pattumiera. Con i quotidiani, e i siti locali, tutti impegnati in un festival d’interviste a disinfestatori ed esperti dell’Asl, a medici e a veterinari, a zoologi e circensi, concentrati sulle abitudini, il carattere e la complessione del “rattus rattus” da non confondere con il “rattus norvegicus”. D’altra parte, si sa, è sempre bene conoscere i propri vicini di casa. E insomma da qualche giorno, l’evidenza – che dev’essere al soldo della casta, e Beppe lo sa – è precipitata a sconvolgere la controrealtà, o realtà ideale, nella quale i cinque stelle amabilmente si muovevano al loro proprio ritmo.
Così martedì la sindaca, dopo aver denunciato oscuri “sabotaggi”, e dopo aver visto che quel furbone di Matteo Renzi s’armava di ramazza elettorale per spazzare Roma, non riuscendo più a dare la colpa a nessun altro, nemmeno ai congiurati del frigorifero, ha garantito – e con la famosa grinta che le ha fatto guadagnare in Campidoglio l’appellativo di “ologramma” – che entro una settimana “la città sarà pulita”. Ma non lo era già? Ad aprile, l’assessora Montanari aveva abolito la parola spazzatura dai documenti ufficiali del comune, invitando anzitutto la popolazione a smetterla con le parole “monnezza” o “rifiuti”, perché entro il 2021 Roma rinascerà nel quadro di una solida “economia circolare”, rifiuti-cittadini-riciclaggio-creatività. Niente discariche. Niente inceneritori. Niente cassonetti. Ed eravamo già in tutta evidenza di fronte a un capolavoro polivalente, a un’opera superiore in cui si fondono Gogol e Kafka, Orwell e Nino Frassica, Hoffmann e Totó. Cancellata la parola, eliminato il problema. Solo che la monnezza ha purtroppo una sua fisicità. Si vede. Non è come il debito pubblico. La puoi chiamare come ti pare, ma puzza comunque. Dunque adesso, in concorrenza con Renzi, i cinque stelle entrano in una nuova fase. E con quel “la città sarà pulita in una settimana”,Virginia Raggi rievoca l’antichissima capacità nazionale di autoesaltarsi al momento buono, di lasciarsi trascinare da un entusiasmo posticcio e bellicoso: spezzeremo le reni alla monnezza, ai ratti, e pure ai gabbiani.