Blue Whale, davvero
Lei, 17 anni, gli ha scritto: è il momento di farlo. Lui, 18, ha detto: sì, e si è ucciso. E’ un omicidio?
La Balena Blu, nella realtà, è una ragazza bionda di vent’anni, che in tribunale sta in silenzio oppure piange, sgrana gli occhi azzurri e chiede aiuto al suo avvocato. Le foto pubblicate dal New York Times mostrano una ragazza che sembra la protagonista di una serie tv sugli adolescenti disfunzionali, “Tredici” avrebbe avuto bisogno di lei, ma lei non è un’attrice, si chiama Michelle Carter ed è accusata di omicidio involontario di un suo coetaneo, Conrad, conosciuto in una vacanza in Florida con i genitori nel 2012, quando entrambi erano minorenni inquieti, sofferenti: lui aveva già cercato di uccidersi, lei aveva disturbi alimentari e ansia sociale.
Lui si è suicidato con il monossido di carbonio in un furgoncino, lei gli scriveva messaggi sul telefono: “Avanti, fallo, ci vorranno meno di venti minuti”, e nelle due settimane precedenti ha cercato di convincerlo, sempre via chat, che ammazzarsi era la decisione più giusta per trovare finalmente la serenità. “Lo sai, quando torni dalla spiaggia devi farlo. Sei pronto”, scriveva Michelle. Lui, che aveva 18 anni, rispondeva: “Ok, lo farò. Niente più pensieri”. E lei di nuovo: “Sì, devi solo farlo”. Molti messaggi, due telefonate, e il ragazzo, che da quel momento lei ha definito il suo fidanzato, era morto. Era il 2014 e Michelle scriveva su Facebook quanto era triste perché non era riuscita a salvare Conrad, scriveva alla madre di Conrad che la capiva e le era vicina, organizzava raccolte fondi in nome di Conrad, acquistava una popolarità e una compassione perché Conrad, a cui lei era tanto legata anche se viveva a più di cinquanta chilometri di distanza, si era ucciso.
Adesso i giudici devono decidere se messaggi e telefonate sono sufficienti a costringere una persona a uccidersi, se Conrad era davvero plagiato da Michelle, che in altri momenti invece gli aveva fatto coraggio e gli aveva tenuto compagnia, gli aveva consigliato di chiedere un aiuto esterno. I messaggi sono stati pubblicati da alcuni siti americani, e hanno messo a nudo la disperazione di due adolescenti che si appoggiavano l’uno all’altro, che si vedevano pochissimo ma avevano intensi scambi su Facebook e sul cellulare. Lui si definiva “un aborto”, diceva che la sua vita era “uno scherzo”, lei prendeva antidepressivi e si tagliava le braccia. A volte invece sembravano contenti di mangiare un gelato.
L’avvocato difensore di Michelle dice che la sua mente è andata in cortocircuito per il passaggio dal Prozac a un altro psicofarmaco, e allora ha pensato che l’unico modo di aiutare Conrad fosse quello di sostenerlo nella realizzazione del suo desiderio di morte. Così, quando lui tentennava e diceva che aveva paura di fare soffrire troppo i genitori, Michelle gli diceva: saranno tristi per un po’, ma poi andranno avanti, è ora che tu lo faccia. Forse lui voleva essere aiutato a vivere invece che a morire, come la protagonista di “Tredici”. Conrad è entrato nel camion per uccidersi, ma poi ne è uscito piangendo, lei gli ha detto: torna in quella macchina, e secondo l’accusa l’ha ascoltato piangere al telefono e poi morire. Se verrà giudicata colpevole, Michelle sarà condannata a vent’anni di prigione. Sono parole, messaggi, non sono nemmeno minacce, ma era un gioco di morte e lui è morto davvero. Lei è rimasta lì con lui, al telefono, fino alla fine.
generazione ansiosa