All'Ordine dei giornalisti c'è odio e odio. E si punisce solo chi tocca l'islam
Avrebbero radiato Charlie Hebdo, lasciarono sola Oriana Fallaci
Roma. C’è odio e odio. C’è quello buono e giusto. Come il “diritto a odiare Berlusconi”. E c’è l’“odio” per l’islam evocato da Filippo Facci su Libero e che gli è appena costato due mesi di stipendio e di sospensione. Il punto non è il contenuto dell’articolo, come non lo erano il titolo di Libero di Maurizio Belpietro sui “bastardi islamici”, l’articolo sul Giornale di Magdi Allam o la decisione di Vittorio Feltri nel 2004 di pubblicare le foto dei decollati dai jihadisti. Il punto è che all’Ordine simili procedimenti scattano soltanto quando c’è di mezzo l’islam. La corporazione non spese una parola a difesa di Oriana Fallaci quando subì quattro processi, fra Parigi e Berna, all’epoca del libro “La rabbia e l’orgoglio”. Quando è morta, Fallaci era imputata al tribunale di Bergamo, dove per prima volta fu disposto un processo per vilipendio dell’islam. Non solo. Alla scomparsa della scrittrice e giornalista, il segretario della Fnsi Paolo Serventi Longhi parlò di “opinioni per molti versi pericolose”.
Dopo il massacro al Bataclan di Parigi, Giovanni Maria Bellu, presidente dell’associazione Carta di Roma, all’Ordine dei giornalisti della Toscana disse: “La strage di Parigi impone ai giornalisti italiani di seguire ancora con maggior scrupolo le regole del codice deontologico che si sono dati nel 2008”. Perché “associare a tutto l’islam questa feroce violenza non sia un modo, certamente inconsapevole, di aderire alla visione di chi promuove le guerre di religione”. Niente meno. L’appello venne fatto girare anche dalla newsletter dedicata ai giornalisti di Franco Abruzzo, già presidente dell’Ordine di Milano. Se Charlie Hebdo fosse stato in Italia anziché in Francia, l’Ordine lo avrebbe radiato. Per gli articoli che pubblicava (“L’islam ci assedia, abbiamo il dovere di difendere la nostra cultura”) e per le vignette di Cabu (il Profeta “sopraffatto dagli integralisti” che dice quanto “è duro essere amati da dei coglioni”) e di Laurent Sourisseau (il musulmano crivellato di colpi che dice: “Il Corano è una merda. Non ferma neppure le pallottole”). Dopo la strage a Charlie, le piazze si riempirono di gente che teneva in mano una piccola matita, simbolo dell’attacco alla libertà di espressione. Voleva dire poco, quella matita. L’unica risposta seria ai jihadisti che avevano preso quelle dodici vite sarebbe stata ripubblicare le vignette che erano loro costate la vita. Non lo fece nessuno. Ma la matita che impugnano all’Ordine dei giornalisti è persino più piccola e finisce per scomparire nella mano con cui scrivono questi assurdi procedimenti disciplinari per punire lo psicoreato “islamofobo”.