Lo scandalo dell'emergenza terremoto diventa cronica per sciatteria e burocrazia
Quella che sembra essere una nuova battaglia politica tra il decisionismo berlusconiano e il passo cadenzato di Paolo Gentiloni, in realtà è l’ennesima conferma di quanto il germe della burocrazia sia patologico per il sistema
Nella mancata abolizione (per ora) dell’imposta catastale per i terremotati quello che dà più fastidio è l’assoluta sciatteria con la quale il governo ha dimenticato di inserire la norma nei provvedimenti emanati per il terremoto. Quella che sembra essere una nuova battaglia politica tra il decisionismo berlusconiano (dopo il sisma dell’Aquila nel 2009 quella imposta la tolsi, si è affrettato a dire Silvio Berlusconi) e il passo cadenzato di Paolo Gentiloni (il premier vedrà nei prossimi giorni il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi e risolveranno certamente il problema), in realtà è l’ennesima conferma di quanto il germe della burocrazia sia patologico per il sistema.
Abolire l’imposta ex ante, infatti, era infinitamente più facile che farlo adesso con un provvedimento ad hoc, perché era sufficiente copiare e incollare l’articolo 1 della ordinanza 3892 del 2017 della presidenza del Consiglio dei ministri, che prevedeva l’esenzione delle imposte di successione ipotecarie, catastali e di bollo. Non che toccasse al premier Gentiloni o al sottosegretario Maria Elena Boschi ricordarsi di uniformare gli atti dell’esecutivo, ma ai loro consiglieri e consulenti legislativi assolutamente sì. Altrimenti perché vengono nominati e quindi pagati dai contribuenti?
A leggere le ordinanze, poi, si comprende ancora una volta quanto centro e periferia viaggino su binari paralleli, e utilizzino codici e linguaggi per alcuni versi antitetici. Nella definizione del quadro normativo per programmare la fase della ricostruzione post sisma, infatti, il tempo è una variabile fondamentale, che presuppone un’attenta analisi a monte delle ipotetiche risultanze dei provvedimenti posti in essere. Proprio la mancanza di analisi della incidenza del fattore tempo sui processi in atto, è uno dei limiti più evidenti della ricostruzione del terremoto, perché si registra uno scollamento palese tra la definizione delle norme, la loro esecuzione e le azioni che dovrebbero essere disciplinate. A L’Aquila, dopo la fase emergenziale segnata dal progetto Case, l’immobilismo nella ricostruzione fu superato solo dopo quattro anni dal 2009 grazie alla intuizione dell’allora ministro Fabrizio Barca di istituire gli Uffici speciali e dare vita alla scheda parametrica di valutazione per gli edifici privati. In ogni caso la scelta dell’affidamento diretto all’impresa non è mai stata in discussione.
Per il terremoto che ha coinvolto le regioni dell’Italia centrale, invece, si è deciso di procedere con le gare, determinando un processo farraginoso e oltremodo rigido, perché il committente nello svolgere la funzione di stazione appaltante, si esporrà al rischio del contenzioso, tipico delle procedure di selezione, con un incontrollabile allungamento dei tempi, come ha dimostrato il disallineamento tra la ricostruzione aquilana privata e pubblica, quest’ultima sostanzialmente ferma. Basti pensare, ad esempio, che per la realizzazione delle piastre ad Accumoli hanno partecipato 274 imprese. Sulla legittimità dei procedimenti, inoltre, è vincolante il parere dell’Anac, e hanno voce in capitolo anche Parco e Sovrintendenza, determinando un eccesso di controlli che ha il solo obiettivo di allungare a dismisura i tempi della ricostruzione. La recente ordinanza, la numero 25, poi, pone altre problematiche sotto il profilo del vincolo e della pianificazione, perché dà in capo ai comuni e agli Uffici speciali la competenza entro trenta giorni di predisporre la perimetrazione dei centri storici, che i presidenti della regione entro quattro mesi dovranno rendere esecutiva. Si tratta, però, di comuni piccoli, che hanno poco personale, attualmente oberato dalle pratiche, e anche in casi di comuni più grandi, ci troviamo di fronte a strutture tecniche poco efficienti, come nel caso di Teramo.
Insomma la storia della ricostruzione del terremoto del centro Italia – costata ad oggi già 24 miliardi di euro dal 2009 – continua a essere l’ennesima pagina sbiadita e opaca del potere della burocrazia italiana, forse il suo emblema più deteriore.
Quando decine di animali – il capitale degli allevatori – muoiono per il freddo nelle zone colpite dal terremoto perché dopo mesi governo, regione e commissario straordinario non sono stati capaci di fornire le strutture provvisorie per il loro riparo; quando le casette vengono estratte a sorte; quando chi vorrebbe realizzarsi da solo una casetta in legno provvisoria non può perché per la regione si tratterebbe di abuso edilizio; quando un decreto, come quello per la ricostruzione, è concepito in modo tale che la governance non rifletta una filiera di comando ma solo un sistema di competenze degli uffici preposti, che si rimpalleranno dei poteri, dobbiamo avere il coraggio di affermare che la politica è davvero finita, e che comandano solo ed esclusivamente i burocrati.
C’è bisogno, invece, di rappresentanti istituzionali che tornino a svolgere il ruolo di leader, non quello di capi, che continuano a non volere esercitare il potere di delega e che preferiscono circondarsi di “professionalità” accondiscendenti.