Il reato di padre Livio
Come a Praga nel 1977, in Italia nel 2017 un giornalista cattolico è stato sospeso per quello che pensa
Nel 1977 Radomir Maly era un giornalista cattolico di Praga. Quando insieme a Václav Havel appose la propria firma a “Carta 77”, la dichiarazione critica del regime comunista cecoslovacco, Maly venne arrestato e cacciato dalle associazioni di cui faceva parte. Nell’Italia del 2017 succede che un altro giornalista cattolico venga sospeso dall’Ordine dei giornalisti. Si tratta del direttore di Radio Maria, padre Livio Fanzaga, sospeso per sei mesi dall’Ordine per aver attaccato la relatrice della legge sulle unioni civili, Monica Cirinnà, paragonandola alla grande meretrice dell’Apocalisse.
Ieri, Padre Livio ha detto di credere alla “distinzione fra le idee, che possono essere diverse, e le persone che vanno rispettate qualunque sia il loro ‘credo’”. L’Ordine dei giornalisti la pensa diversamente e sta imponendo la visione che il premier spagnolo Zapatero espose in una celebre intervista a Time: “Se la maggioranza la pensa in un certo modo, ha ragione”.George Orwell aveva capito che la “neolingua” non sarebbe stata una lingua radicalmente nuova, ma la manipolazione di quella esistente. Così l’aggettivo “libero” non si sarebbe più usato nel significato di “intellettualmente indipendente”, ma in frasi come “questo cane è libero dalle pulci” o “questo campo è libero da erbacce”. L’Ordine dei giornalisti ha così messo il proprio timbro sulle “Linee guida per una informazione rispettosa delle persone Lgbt” redatto dall’Unar, l’Ufficio nazionale contro le discriminazioni. Un lavaggio del cervello per stanare nell’informazione i “tic omofobici” e dove si chiede di eliminare espressamente anche il solo contraddittorio sui media: “Quando si parla di tematiche Lgbt, è frequente che giornali e televisioni istituiscano un contraddittorio: se c’è chi difende i diritti delle persone Lgbt si dovrà dare voce anche a chi è contrario. Questo, però, non è affatto ovvio”. Si parla di “omofobia interiorizzata”, una “forma di omofobia spesso non cosciente, risultato dell’educazione e dei valori trasmessi dalla società”. Vietato parlare di “matrimonio tradizionale” e “matrimonio gay”, diffonde la pericolosa idea che si tratterebbe di “un istituto a parte, diverso da quello tradizionale”. Ci sono alcune regole pratiche da seguire, come non “virgolettare i discorsi di personalità pubbliche che incitano all’odio contro le persone Lgbt”.
L’Italia è fra i paesi più tolleranti nell’accettazione dell’omosessualità. Siamo al quarto posto nella classifica mondiale secondo il rapporto Pew “Where Homosexuality Is Most Accepted”. Ma nonostante questo dato, l’Ordine dei giornalisti agita lo spettro dell’omofobia. L’Ordine dei giornalisti del Veneto ha organizzato un corso di aggiornamento dal titolo “Informare senza discriminare. Identità e gender theory”. Il corso “Discriminazione femminile e sessualità di genere” è stato organizzato dall’Ordine del Friuli-Venezia Giulia, mentre “Orgoglio e pregiudizi” è il titolo dei seminari di formazione per giornalisti organizzati a Milano, Roma, Napoli e Palermo. Ma si sbaglierebbe a considerare l’Italia come una eccentricità. L’Association des Journalistes Lgbt in Francia ha stilato regole etiche cui si sono sottomessi più di venti organi tra giornali, radio e pagine web (le Monde, Libération, Médiapart e Inrockuptibles). Gay Pride non va bene, meglio “marcia della fierezza”. Via l’espressione “confessare l’omosessualità”, non è una colpa. Quale sarà il prossimo passo, la Spagna del 2017, dove i vescovi sono denunciati per aver espresso idee contrarie sulle nozze gay? E’ successo ai cardinali Antonio Cañizares e Antonio María Rouco Varela. Come in Spagna, dove da dieci anni si celebrano i matrimoni gay, anche nell’Italia delle unioni civili cresce una piccola inquisizione che punisce non più i “rei d’immoralità” come nel XV secolo, ma il sospiro critico cattolico contrario alle leggi.
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