Simone Veil, 1927-2017. Un "enigma" tra Novecento, Europa, aborto
Nata Jacob, sopravvissuta ad Auschwitz, magistrato, membro del Consiglio costituzionale, primo presidente del Parlamento europeo, resterà nella memoria come il ministro che sostenne l’introduzione della legge sull’aborto in Francia nel 1974
Quando l’accolse all’Académie française – sesta donna a entrare fra i quaranta “immortali”, il gran decano Jean D’Ormesson parlò di Simone Veil come di un “enigma”, plasmato in lei dalla coesistenza di tradizione e modernità: “Femminista, ma custode della differenza di genere, paladina dei più deboli, ma contraria alla vittimizzazione, severa con sé e con gli altri nel rifiutare la Legion d’onore in modo implacabile: ‘Non basta essere finiti in un campo di sterminio per meritare una decorazione’”. Nata Jacob, figlia di un famoso architetto parigino in una famiglia ebrea laica e assimilata, sopravvissuta ad Auschwitz, magistrato, membro del Consiglio costituzionale, primo presidente del Parlamento europeo nel 1982, Simone Veil resterà nella memoria collettiva come il ministro-icona di Valéry Giscard d’Estaing, il ministro della Sanità che sostenne l’introduzione della legge sull’aborto in Francia nel 1974. Era una splendida matriarca. E’ stata una figura di spicco dell’Europa novecentesca e della sua lenta costruzione comunitaria. Come scrisse lei stessa nella sua autobiografia, “Ma vie” – bestseller da oltre trecentomila copie, cosa inconsueta per una personalità politica – Valéry Giscard d’Estaing la volle e la sostenne a Strasburgo perché “vedeva nella mia candidatura un simbolo della riunificazione franco-tedesca, e il modo migliore di girare definitivamente pagina per quel che riguarda le guerre mondiali, come spesso ripeteva ai suoi interlocutori”.
Quando nel 1974 la legge sull’interruzione di gravidanza francese diede il segnale che i tempi erano maturi anche per l’Italia, la nostra stampa ideologicamente feroce ma sempre un po’ provinciale, la raccontò come una “bella signora dagli occhi verdi, ancora piacente, assai elegante”, che non si era “mai scomposta” di fronte agli attacchi degli avversari. Abortista ma donna di garbo, era il messaggio subliminale. Oggi nessuno s’azzarderebbe a partire dal fascino della donna per elogiare l’esponente politico, qualche sciocchina in cattedra griderebbe al sessismo. Invece, nella sua sobrio rigorose Simone Veil non ha mai temuto di essere al centro della scena, con la sua personalità affascinnate. Non era una goschiste, era estranea e non solo per anagrafe alla generazione scalmanata del femminismo anni Sessanta e Settanta.
Per il mondo cattolico francese e non solo, per la destra gollista e non solo, da allora diventò comunque un nemico dichiarato e imperdonabile. Lei replicò a distanza, nell’autobiografia: “Non serve a niente il voler travestire i fatti: di fronte a un milieu molto conservatore avevo palesato la mia triplice ‘mancanza’, quella di essere una donna, di essere favorevole alla legalizzazione dell’aborto e infine di essere ebrea”.Non ha mai cambiato posizione, seppure in anni recenti avesse ammesso “l’evidenza scientifica che sin dal concepimento si tratta di un essere vivente”.
Ma vale la pena ricordare che nel 2014, quando, quaranta anni dopo la legge Veil, l’Assemblea nazionale ritenne di doverla aggiornare, un voto quasi unanime trasformò la depenalizzazione dell’aborto in un “diritto fondamentale all’interruzione volontaria di gravidanza per tutte le donne, in Francia, in Europa e nel mondo”. Qualcuno, pochi, dai banchi dell’opposizione disse che quella trasformazione in “diritto fondamentale” tradiva alla radice gli stessi convincimenti del ministro della Sanità di Giscard, che invece aveva insistito sulla depenalizzazione soprattutto per sanare la piaga dell’aborto clandestino, e che, in Aula, aveva affermato che “l’aborto è sempre un fallimento, a volte un dramma” che non andrebbe incoraggiato. E’ morta ieri nella sua abitazione di Parigi, pochi giorni prima di compiere i 90 anni.