Siccità di buonsenso. Il benecomunismo dell'acqua pubblica ci ha inaridito
L’Italia è un paese ricco di acqua: ne ha in teoria 3.000 metri cubi pro capite annui che però si riducono a 1.000 perché gli invasi sono obsoleti. E anche le condutture dell’acqua potabile portano i segni della vecchiaia
In questi giorni i media hanno fatto vedere campi in siccità con zolle screpolate per mancanza di acqua: colpa del mutamento del clima, che surriscalda il pianeta e di Donald Trump che si rifiuta di firmare l’accordo per la riduzione degli inquinamenti, creatori d’effetto serra. Dal 24 in poi son venute pioggia e grandine e il cielo è nebuloso. Ma di acqua c’è ancora carenza nella pianura emiliano-veneta, nonostante che vi scorra il Po con undici affluenti sulla sinistra e nove sulla destra. Manca acqua anche nell’area romana che, prima delle bonifiche del 1930 era paludosa. Il lago di Bracciano si è abbassato di 13 centimetri sotto il livello zero. Virginia Raggi, sindaco di Roma, il 22 giugno ha firmato un decreto di razionamento dell’acqua, bene comune che va data a tutti. Se il sindaco la raziona, forse contiene lo spreco, ma certo non ottiene l’effetto di farla diventare abbondante. Come mai “sorella acqua” è così avara?
L’Italia è un paese ricco di acqua: ne ha in teoria 3.000 metri cubi pro capite annui che però si riducono a 1.000 perché gli invasi sono obsoleti. Anche le condutture dell’acqua potabile portano i segni della vecchiaia. Fra il 2008 e il 2012 le loro perdite sono salite dal 32 per cento al 37 per cento per carenza di manutenzioni. In Francia sono il 20 per cento e in Germania il 6 per cento. Mentre nel centro sud di Italia, dove ci sono meno corsi d’acqua, laghi e sorgenti, le tecniche di irrigazione si sono evolute, nel nord ovest e nel nord est sono ancora dominanti l’irrigazione per sommersione e scorrimento, che non richiedono investimenti costosi e tecnologie avanzate, ma comportano spreco d’acqua. Invece sono poco utilizzate quelle per aspersione a pioggia e a goccia e quelle con i gocciolatori interrati, che danno un rilevante risparmio idrico. Però in Italia, le tariffe dell’acqua, tradizionalmente, sono basse. La famiglia media spende per l’acqua potabile 25 euro al mese, contro 22 per l’acqua minerale. Spesso l’acqua potabile è usata per irrigare i giardini, gli orti, i campi. Data la scarsa vigilanza e la tolleranza degli abusi, la perdita idrica per allacci irregolari a volte supera il prelievo per usi regolari. Così sembra per il lago di Bracciano, di cui si serve il comune di Roma ora costretto a ridurre il suo prelievo quotidiano.
Nei distretti dove l’acqua è a prevalente gestione pubblica, gli investimenti idrici sono minori che in quelli dove c’è la gestione di imprese di mercato. Ma i comuni sono, spesso, molto indebitati e comunque non hanno la dimensione adatta per gestire i bacini e le reti idriche che coinvolgono un territorio più grande della regione in cui sono ubicati. Così l’acqua scarseggia, maltrattata da chi se ne dovrebbe più curare perché rappresentante della comunità. Una persona di buon senso direbbe che se le comunità locali non sono in grado di provvedere, perché si tratta di un servizio a rete complicato, occorre ricorrere alle grandi imprese come si fa per gli altri servizi a rete telefonici, elettrici, di gas, benzina e gasolio e i supermercati. Invece nel 2011 su iniziativa dei 5 stelle e delle sinistre è stato promosso un referendum abrogativo delle due regole base per gli investimenti e la gestione nei servizi idrici: quella per cui la gestione delle reti idriche doveva esser affidata, mediante gara, a società private o con maggioranza privata (e solo in casi eccezionali ad aziende municipali) e la regola per cui le tariffe per la vendita dell’acqua comprendono anche la remunerazione del capitale investito dal gestore.
Il referendum ha avuto successo. Se si facesse una legge per cui essendo il pane un bene comune, il suo prezzo non può includere la remunerazione dell’investimento quanti fornai rimarrebbero in commercio? Ecco perché il sindaco di Roma pentastellato Virginia Raggi ha disposto che l’acqua, in quanto bene comune, per poter essere di tutti, va razionata ossia se ne deve usar poca. Salvo ricorrere all’acqua minerale, in cui le imprese private sono libere di investire e possono includere nel prezzo la remunerazione del capitale.
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