Quando l'animalismo uccide gli animali
L'epic fail degli animalisti che liberano le bestiole per consegnarle a un destino peggiore. Uno stupidario con ippopotami e visoni
Le buone intenzioni possono essere una gran fregatura. Già il regista coreano Bong Joon-ho in “Snowpiercer”, raccontava di una catastrofe provocata dagli ecologisti che nel tentativo di raffreddare il mondo lo congelano. E ci ha ricordato l’ironica ambiguità di certe posizioni radicali nel nuovo “Okja”, la storia di un maiale gigante creato nei laboratori di una crudele (ça va sans dire) multinazionale del macello. Ma il Fronte di Liberazione degli Animali che tenta di “salvarlo” agisce secondo dogmi distorti, quasi al limite della sanità mentale, di sicuro al limite della logica.
E quando la pellicola si srotola nel mondo reale tutto diventa ancora più grottesco. Un gruppo animalista è sospettato di aver liberato una settimana fa circa 38.000 visoni da un allevamento di Eden Valley, in Minnesota. Hanno aperto le gabbie e tagliato le reti: viva la libertad! Peccato che quasi 15.000 dei visoni liberati sono stati ritrovati morti. Nati e cresciuti in cattività, gli animali non erano in grado di sopravvivere da soli.
Tre anni prima, un gruppo di animalisti libera i visoni da un allevamento a Calvagese della Riviera, in provincia di Brescia. Stesso patatràc, con numeri meno massicci: circa 200 bestiole riescono a darsi alla macchia, ma oltre un centinaio di loro muore investito dalle automobili o “azzannato” dai suoi simili.
Nel dicembre del 2014, nel maceratese, un commando per la liberazione animale apre la gabbia di Aisha, una femmina d’ippopotamo di otto anni, “prigioniera” del Circo Orfei. Il pachiderma fugge sulla strada per Montecassiano. Viene travolto da una Polo. Il 25enne alla guida si ritrova con l’auto sfasciata e qualche graffio. Aisha muore sul colpo. Qualcuno aggiorni la favola di Fedro e l’antico dilemma del cane e del lupo: meglio vivere ben pasciuti ma con la catena al collo o morire liberi sulla provinciale 361?
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