Foto di Jukka via Flickr

Elogio del sindaco di Portofino che non vuole i migranti, ma accoglie i ricchi

Maurizio Crippa

Il gran rifiuto del primo cittadino della perla del Levante è così autoesplicativo da mettere in berlina tutti i conteggi della prefettura sulla base delle tabelle ministeriali

Se la matematica fosse una visione, e quando si applica agli umani in effetti lo è, di solito con effetto grottesco, in base all’accordo stipulato mesi fa tra il ministero dell’Interno i comuni italiani (non tutti, è su base volontaria) e successive modifiche (ci saranno state delle modifiche, siatene certi) che prevede la ripartizione di 2,5 migranti (due uomini e una gamba? Ecco l’effetto grottesco) ogni mille abitanti, nel comune di Portofino, che fa 420 residenti, dovrebbe sbarcare un migrante e un pezzetto. Una mano, forse. Se la matematica diventasse una visione, avrebbe la forza di farcelo comparire, questo migrante e un pezzetto solitario, sperduto con le infradito e i calzoncini davanti all’arco blu e smeraldo di uno dei jetset marini più belli ed esclusivi del mondo. Mentre lo guardano dalla Piazzetta e dal Caffè Excelsior, o lo sbirciano da una barca (più si è ricchi e più la parola è “barca”), questo strano esemplare di displaced people. Lui si guarderebbe attorno, e penserebbe nel suo idioma a noi ignoto: ma che ci faccio qui?, come un Chatwin involontario in capo al mondo. E soprattutto: ma il proprietario della mano, e tutti gli altri compagni di barcone (più è scassata, più la barca è un accrescitivo), dove li hanno messi?

 

Se la matematica non diventasse un’opinione, quando deve far quadrare i conti della politica, bisognerebbe domandarsi che vantaggio possa ricavare la prefettura di Genova, che pure deve piazzare da qualche parte la sua quota di 700 richiedenti asilo, a metterne uno sperduto come un’oliva in un Martini, a Portofino. Unendo l’inutile al fuori posto.

 

Così c’è da schierarsi con il sindaco di Portofino, Matteo Viacava, che è del centrodestra e si rifiuta di accogliere il suo migrante e un pezzo. Come del resto già fece il sindaco di Capalbio – ma Capalbio, solo per il nome, faceva più ridere – e come pur stanno facendo altri suoi colleghi del Levante e del Ponente. A onor del vero, non è che ci sia da elogiarlo per le motivazioni addotte: “Il nostro è un centro turistico importantissimo e alloggi liberi non ne abbiamo”, ha detto. Forse gli bastava spiegare che gli alloggi, lì, viaggiano sopra i diecimila al metro e al bar per un “giancu de Purtufin” ti sfilano venti euro. E forse pure il proprietario del Puny poteva consultare il suo pr prima di dichiarare “qui siamo già stretti noi”. Ma comunicazione a parte, il gran rifiuto del primo cittadino della perla del Levante è così autoesplicativo da mettere in berlina tutti i conteggi della prefettura sulla base delle tabelle ministeriali e sottesa logica burocratico-emergenziale. Ma insomma, perché mai un gioiellino come Portofino, con tutte quelle finestre che ridono e le ville nel verde che si specchiano nel blu, con quel viavai di nomi che sembrano un’eterna Belle Époque, dovrebbe badare ai Sis, o aderire alla Sprar? Portofino è business e immagine nel paese che ha bisogno come il pane di preservare e casomai incrementare un’immagine turistica non stracciona e caciarona. Perché dovrebbe mettere lì, come un faro sul porticciolo, il suo migrante statisticamente ripartito? A ognuno il suo lavoro. Roma è più grande, ha i suoi problemi e ha anche i suoi migranti. Ma a nessuno, nemmeno ai luminari dell’attuale giunta, verrebbe in mente di piantare le tende a Via Condotti, o in cima al Pincio. Si lavora per cooperazione, ma anche specializzazione. Portofino non è Cogoledo, forse c’è più spazio a Sarzana.

 

Dirà subito, qualche vegano ambientalista o umanitario, che pure Lampedusa è bellissima, un mare altrettanto blu. E un giorno di certo gli yacht attraccheranno al largo per fare diving etnografico tra i relitti e poi sbarcare ricchi avventori in qualche hotel a quindici stelle. Ma ora no, ora non è così. La specializzazione non è eterna. Ma per il momento, a Portofino accolgono i ricchi.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"