Scappare dalla guerra e svegliarsi a Roma sotto il getto degli idranti. Il caos è qui
“Noi siamo poveri, ma voi chi siete?". In piazza Indipendenza, a un passo dalla stazione Termini le persone che dormivano nei giardini sono state svegliate così
Non piangevano solo le donne e i bambini, ma anche gli uomini. In piazza Indipendenza, a un passo dalla stazione Termini, alle sei del mattino le persone che dormivano nei giardini sono state svegliate dal getto degli idranti, sui corpi e sulle povere cose, le buste di plastica e i trolley. Abbiamo visto le donne lanciate a terra dai getti d’acqua, abbiamo visto un uomo giovane lanciare dalla finestra del palazzo occupato una bombola del gas. Tutto a un passo da noi, nel centro della città e fra i viaggiatori che correvano per non perdere il treno: uomini e donne ancora frastornati dalla vertigine dell’esilio, che hanno attraversato guerre, torture e morti su quei maledetti barconi e adesso devono raccogliere i brandelli di ciò che resta e ricominciare, ma non sanno dove, e anzi devono di nuovo difendersi, e questa volta da noi. La maggior parte di loro ha i documenti in regola, hanno lo status di rifugiati, il Comune ha il dovere di dare un rifugio, non il getto di un idrante.
“Noi siamo poveri, ma voi siete cristiani?”, gridava una donna. Abbiamo visto un poliziotto in divisa antisommossa provare a consolare una donna eritrea disperata, accarezzandole la faccia. E un altro gridare: “Se tirano le bottiglie spezzategli un braccio”. Questo è il frutto della casualità: circolano notizie vaghe su una sessantina di posti letti offerti e rifiutati, ma in quel giardino sporchissimo ieri mattina alle sei erano in centocinquanta, lì da cinque notti. I bambini spaventati, le donne furiose, piangenti, in ginocchio, gli uomini arresi con le braccia sopra la testa, oppure in rivolta con sassi e bottiglie. I poliziotti non hanno colpe, ma la nostra città sì.
Il ministro dell’Interno è riuscito a evitare per quest’estate la catastrofe umanitaria, gli sbarchi sono nettamente diminuiti (in agosto 2859 contro i 10.366 del 2016), giovedì mattina Paolo Mieli scriveva sul Corriere della Sera che cinquemila profughi hanno accettato di tornare nei paesi d’origine con un incentivo economico e sotto la sorveglianza delle Nazioni Unite, che sono diminuiti i morti perché è diminuito, grazie alla politica, il traffico degli esseri umani. Ma quel che succede dentro i nostri confini, alle persone che fino a qui sono arrivate, stremate e confuse, ognuno con una storia diversa e con un carico di dolore e di rabbia e di paura, è affare nostro. Purtroppo queste persone (tredici sono state ferite) hanno attraversato la vera frontiera del nostro paese ieri mattina, sotto gli idranti e i manganelli, anche sotto i tweet sconfortanti di Matteo Salvini che inneggiava allo “sgombero” degli “immigrati abusivi”. Non sono immigrati abusivi, sono rifugiati, sono uomini e donne e bambini in fuga, hanno uno status che una città civile deve rispettare, e di cui ha responsabilità: una sistemazione dignitosa, la possibilità di ricominciare qui oppure, quando è possibile e sensato, tornare indietro. Ma svegliarsi la mattina con le immagini spaventose della capitale d’Italia che usa gli idranti contro i rifugiati, è il segno di una sconfitta che deriva dal caos e dall’assenza totale di un’idea del mondo. “Noi siamo poveri, ma voi non siete bravi”.
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