I dibattiti sulle case vuote tralasciano il tema chiave: il diritto di proprietà
Nella circolare di pochi giorni fa del Viminale, si annuncia una ricognizione dei beni immobili privati e pubblici inutilizzati per un loro riuso a fini abitativi. Ma è giusto sfruttare anche le proprietà private per fronteggiare la carenza abitativa?
Lo sgombero di via Curtatone è passato necessariamente per una via stretta e impervia: anni di tolleranza di una situazione illegale non potevano che aver adagiato gli occupanti e i movimenti che incautamente li sostengono sull’idea che nulla sarebbe successo. Vale per via Curtatone, e vale per migliaia di immobili pubblici, privati o destinati ad edilizia popolare, ancora occupati: fuoco sociale sotto la cenere dell’indifferenza e dell’imbarazzo istituzionale.
Cercare di chi è la colpa di questa situazione pronta a esplodere, come appunto testimonia il caso romano, non è un esercizio infantile. Serve invece a capire da dove vengono i nodi del problema e perché non si strecciano. L’occupazione abusiva è un reato. Almeno per il codice penale.
Tuttavia, come ricostruisce l’avvocato Silvio Boccalatte in un puntuale paper oggi pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni, la tutela per i proprietari vittime di occupazione si è nel tempo affievolita a favore di un diritto all’abitazione riconosciuto a chi è in stato di bisogno. Una guerra di diritti spesso tra poveri (molte case occupate sono case popolari non assegnate) che ha eroso la certezza del diritto. Per le amministrazioni, la via più breve di affrontare il problema è stata non fare nulla e assistere passivamente all’allaccio abusivo delle utenze e a un mercato nero delle locazioni. In un paese in cui il diritto di proprietà è stato sempre figlio di una Costituzione minore, è facile non solo tollerare una situazione penalmente illecita, ma persino giustificarla nelle aule dei tribunali e procrastinarla fino a che non diventi un problema sociale. Lo sprezzo per il diritto di proprietà, certificato dai giudici e sfruttato dalle amministrazioni, ha così nutrito a una prassi illecita per il codice penale: solo di case popolari ve ne sono 40mila occupate, al netto di quelle con contratto scaduto. Anche ora che il ministero dell’Interno dichiara di voler risolvere il problema, si pensa di farlo continuando a maltrattare il diritto di proprietà. Strano modo davvero di tutelare l’ordine pubblico, che in larga parte è proprio garantito dalla corretta circolazione dei titoli di proprietà.
Nella circolare di pochi giorni fa del Viminale, si annuncia una ricognizione dei beni immobili privati e pubblici inutilizzati per un loro riuso a fini abitativi, palesando l’idea, condivisa da Virginia Raggi, di sfruttare anche le proprietà private per fronteggiare la carenza abitativa. Una locuzione elegante per dire sequestro collettivo sociale, dal momento che “la scala di priorità degli interessi che il Prefetto deve tenere in considerazione pone in cima i soggetti portatori di conclamate e oggetti fragilità”, mentre dimentica completamente i diritti dei proprietari. Si può pensare che il mancato uso per un tempo prolungato di un immobile da parte dei proprietari vuol dire incuria. Talvolta è così. Ma il diritto di proprietà è diritto di usare il bene come si vuole, compresa la facoltà di non usarlo. Non si combatte in radice il fenomeno delle occupazioni alimentando quel disprezzo per il diritto di proprietà che lo ha permesso. L’unica interpretazione compatibile con le ragioni dei proprietari è che la mappatura pensata dal Viminale sia un primo passo per proporre accordi di locazione agevolata e sotto garanzie pubbliche. Uno strumento, questo, più difficile da attuare ma anche più rispettoso dei principi e diritti su cui è basata la nostra civiltà giuridica.