Più appalti, meno alluvioni
Corsi d’acqua tombati e “Italia sicura” a rilento. Nel paese del processo al Mose e della difficile gestione degli allarmi meteo la psicologia moraleggiante porta a tenersi in tasca i quattrini pubblici e a lasciarsi sommergere dal fango
Maledetti gli appalti, viva gli appalti. Non sono un esperto idrogeologico, ma sono un cittadino. Cerco di ragionare per criteri politici, che è la mia materia costituzionale, la mia competenza di osservatore. Un formidabile dossier della Stampa, curato da Maurizio Maggiani, sui corsi d’acqua tombati, cosiddetti, mi spiega che sono cose che vanno avanti da almeno cinquecento anni, con forti accelerazioni dall’epoca napoleonica e interventi più recenti, alcuni dei quali sempre in ritardo sui fenomeni naturali in crescendo. Per ragioni di salute, antiche, e poi di governo sensato o meno sensato del territorio, compresa “l’avidità” – come si dice – che è l’altra faccia dello sviluppo, abbiamo una rete canalizzata sottoterra che spesso non ha sbocco sicuro, che esplode, in occasioni anomale di temporali intensi di tipo tropicale. Di qui le tragedie.
Di questo si è consapevoli: gli esperti idrogeologici, gli ingegneri, gli amministratori, i politici, i Mini e Big Data. C’è un piano del governo Renzi “Italia sicura”, che da tre anni procede lentamente, lo dice Fabio Tonacci su Repubblica, e a questo ritmo i molti miliardi stanziati, che dunque ci sono e sono in parte la misura delle cose da fare, saranno spesi invece che in un quinquennio in duecento anni.
Le cose fatte, ci sono anche quelle, per esempio a Genova e perfino a Livorno, non bastano, e quando bisogna fare gli scolmatori d’acqua o far rivivere a cielo aperto i corsi talvolta si è sparagnini, si lavora in piccolo, con criteri preventivi insufficienti rispetto agli scenari peggiori. Poi è vero che i 200 millimetri di precipitazioni in poche ore sono una fatalità imprevedibile e comunque imprevista, e qui si apre tutto il capitolo di protezione civile sulla gestione degli allarmi meteo. Lo stato francese, che non è piccola cosa, non ha saputo anticipare le difese protettive contro Irma a Saint Martin, si dice, anche perché l’uragano è stato capriccioso nel percorso, come si è visto dalle variazioni tra la costa est e quella ovest della Florida, e dalle conseguenze per fortuna inferiori al previsto delle inondazioni da alta marea. Fatalità, fortuna.
Il lettore informato non può che concludere: viva gli appalti. Per noi oggi appalto equivale a corruzione. I rialzi in corso d’opera non si fanno più, per moralismo, i lavori si fermano, non c’è trippa per gatti. I progetti esecutivi scarseggiano, e chi si prende questa responsabilità nell’Italia del processo al Mose, delle intercettazioni su quegli stronzi che si fregano le mani dopo il terremoto, del titolo insinuante “L’IMPERO DEGLI APPALTI” dedicato al mostro degli appalti Alfredo Romeo? La Consip? Una greppia. Il costruttore? Un palazzinaro. I manutentori? Dei raccomandati alla Consip. Gli asfaltatori? Rentier e scrocconi dei quattrini pubblici. La psicologia moraleggiante porta a tenerseli in tasca, questi quattrini pubblici, ed eventualmente a lasciarsi sommergere da fango, alluvionale e franoso, in nome della custodia della natura o del suo contrario, ma sempre in odio agli appalti. Che poi sarebbero, se non fossero impediti dalla intermediazione moralistica, peggio di quella burocratica, la nostra salvezza. Ci penseranno Montanari e Settis a stombare i fiumi e ad arginare i corsi, con il prossimo libro e la prossima candidatura in una lista grillina.
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