Villa Borghese (Foto LaPresse)

I reduci e i mostri di villa Borghese

Michele Masneri

Celebrata da Fantozzi e Pasolini (che la frequentava anche di notte), salotto decadente di Roma. Ricognizione del "central park de noantri" in questa estate dello stupro continuato

Doveva toccare, nell’estate del gran malcontento femminicida, anche a villa Borghese. Reale o percepita che sia l’emergenza, l’estate dello stupro continuato tocca adesso anche il pratone romano, il central park de noantri. Già della celebre famiglia principesca, poi trasformata in parco pubblico nei primi del Novecento, sicuramente il più celebre di Roma anche se solo terzo in ordine di grandezza dopo Pamphilj e Ada, la villa Borghese ha generato tanto immaginario italiano, certo più vasto dei suoi ottanta ettari spelacchiati. 

 

C’è sempre stata una villa Borghese notturna e una diurna, poco raccomandabili entrambe. Pasolini di giorno prendeva posizione sui figli dei poliziotti versus quelli degli studenti sulla scalinata di valle Giulia, nel mezzo della villa, giù verso piazza del Popolo; e di notte sperimentava posizioni anche più ardite tra i boschetti con battuage ormai vintage; mentre sulle stesse scalinate della rivolta alla facoltà d’architettura sessantottesca si celebrava un momento più fondamentale per la storia patria, il remake della corazzata Potemkin che il cinefilo direttore Guidobaldo Maria Riccardelli fa fare a Fantozzi dopo la distruzione delle celebri “diciotto bobine” ai cari impiegati, col ragioniere in carrozzina e la sciura Pina-gli occhi della madre. Poco più giù, naturalmente, villa Giulia col suo museo archeologico e il premio Strega, ricettacolo di tutti i sudori letterari il primo giovedì di luglio, tornato a furor di popolo dopo una parentesi contemporanea e dunque incongrua nell’aria condizionata dell’Auditorium. Mascheroni etruschi e maschere però anche e soprattutto nel cuore della villa Borghese, col “concorso ippico” a piazza di Siena, dove da sempre vengono immortalate le rifattone  e le duchesse e le principesse (molte defunte) e dove ci si sente tutti un po’ al Royal Ascot; sul fronte di via Rossini, villa del delitto, quello della marchesa Casati, con voyeurismi d’epoca che ogni anno d’agosto generano articoli. 

 

Un grande classico del giornalismo estivo era anche l’intervista aneddotica a Dino Risi, che nel residence Aldrovandi (nome che in pochi sanno pronunciare, a Roma, Aldovrandi? Aldrovandi? Booh. Come piazza Santi, per i più Santissimi Apostoli) viveva, solo, contra mundum, con Vittorio Gassman che lo andava a trovare, a gara a chi fosse più incattivito e depresso, della depressione dei genii. E Gassman sognava notoriamente d’essere un’aquila del vicino Bioparco, già zoo, dove nasceva un altro topos dell’estate italiana, Carlo Verdone con la straniera Marisol cercava di prendere il suo shuttle metaforico per Ladispoli. Che posti. Che cinema, sul confine verso i Parioli, a via Corelli abita la marchesona Sacchetti del palazzo della Grande Bellezza (in un Dakota Building molto romano insieme all’ad di Cdp Fabio Gallia, e Ginevra Elkann).

 

Villa Borghese aveva anche una vita sotterranea; curiosamente nessun romanzo horror l’ha mai celebrata (mentre il sommo “Che la festa cominci” di Niccolò Ammaniti cantava i mostri di villa Ada; qui ci sarebbero semmai i revenants del Cnel, in un bosco ombroso della villa, ma forse è un sottogenere solo di nicchia); chi si avventurasse da via Veneto troverebbe però una spaceship più significativa di quella Apple a Cupertino; qui un tempo c’erano tracce di vita muscolare, c’era la Roman Sport Center, per tutti solo “la Roman”, immensa palestrona che per decenni ha formato polpacci e glutei di tutti gli avvocati e notai romani; chi vi è stato non dimentica i Rolex incandescenti nei bagni turchi, e la leggenda nera di Christian De Sica a far coreografie acquatiche; la palestra era stata fondata nel 1962 dall’americano Eddie Cheever che sposa una Francesconi Rosetta, e portano per primi lo squash nella capitale. Fallita, la Roman, nell’estate di tre anni fa, col suo bottino di abbonamenti “a vita”, in un business model che puntava tutto sull’inamovibilità romana (otto milioni di vecchie lire, costava il vitalizio, in tempi pre-cinque stelle). Quando fallì si ebbe un raro soprassalto (con mobilitazione) della società civile romana. Oggi rinata, sotto le insegne di  “Heaven”, tutta modernissima, con gran dispendio di pelle nera e led, pare un po’ Scarface (ma l’immutabilità romana è lì, si aggira ancora Renato Balestra, sopravvissuto a tutte le ere geologiche oltre che naturalmente alle mode e ai fallimenti). 

 

Sottosegretari, soubrette, scorte, scale mobili: un mondo sotterraneo che si spingeva verso il supermercato GS poi Carrefour tra architetture nuragico-brutaliste del genio fascista Enrico Moretti. Sopra, tramite speciali pertugi, si usciva direttamente sulla villa per il jogging. Grandi tramonti, e gli sbuffi di vapore clorato della piscina, tra i pini maestosi e drammatici. Si stava comunque sempre attenti, non son mai stati posti molto sicuri, né di giorno né di notte. Adesso, con la nuova gestione, si entra infatti solo col badge.

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