Ora son tutti Anna Frank
Si indignano se finisce sulla maglia della Roma, ma non se la usano gli antisemiti in armi
Roma. Sono anni che Anna Frank è irrisa. Nei murales (“Anne non l’ha fatta Frank”) e ora da parte dei tifosi della Lazio. Un caso nazionale, com’è giusto che sia. Ma qualcuno avvisi gli indignados: la ragazza icona dell’Olocausto è stata banalizzata, trivializzata e arruolata da gente ben peggiore di quella curva dello stadio. Alvin H. Rosenfeld, pioniere degli studi sull’antisemitismo, nel libro “The end of the Holocaust” scrive che Anne Frank è stata trasformata in una icona della “bontà umana” e usata in cause antisemite, che vanno dalle t-shirt filopalestinesi con il volto della martire di Bergen-Belsen alle vignette premiate a Teheran dal regime iraniano.
Gli iraniani hanno messo Anna Frank a letto con Hitler, che le dice: “Scrivi di questo nel tuo diario”. Quegli iraniani che sognano di far fare a Israele la fine di Anna Frank, con l’atomica al posto dei crematori. Ma quelle t-shirt e vignette non offendono quanto le maglie della Roma. Come non offende il volto di Anna Frank negli account twitter del Bds, il boicottaggio di Israele. O il film palestinese “Anna Frank: then and now”, proiettato durante la guerra a Gaza del 2014. Ora sono tutti Anna Frank, da Massimo Gramellini che sul Corriere della Sera ha detto di volersi mettere la maglia della Roma con il volto della ragazzina di Amsterdam, al direttore di Repubblica, Mario Calabresi, che ha firmato un appello per farne un monito. Ma c’è una differenza fra una maglia da calcio, i gadget filopalestinesi e la vignetta iraniana: quindici tifosi della Lazio non vogliono incenerire il popolo ebraico, i secondi sì.
Se Anna Frank fosse viva, non potrebbe oggi girare con una stella di Davide al collo per le vie di Amsterdam e di molte altre città europee, quella stella che ora si vuole far indossare negli stadi di calcio. E l’Italia ha stretto un accordo politico-nucleare con un paese, l’Iran degli ayatollah, che minaccia di spazzare via Israele dalla mappa geografica. Anche e soprattutto di questo dovrebbero parlare i nostri editoriali e occupare la nostra indignazione.
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