Mantova la città dei fantasmi
Dietro al caso del sindaco della città lombarda, indagato per concussione a luci rosse, ci sono le streghe, la massoneria e il sesso. Pure il porno, come quello che si ritrova nel palazzo dei Gonzaga
Se fosse una sceneggiatura direbbero subito. Anche meno! Troppa roba, taglia! Ci sono infatti: la provincia più pittoresca da cartolina; un sindaco (presunto) zozzone; un massone; un’esperta di stregoneria. Il tutto a Mantova, capitalina dei Gonzaga che aveva appena cominciato a godersi questo sindaco super renziano.
Il sindaco, quarantenne di bella presenza, magro, un'aria spiritata dei quarantenni del Pd, è accusato
di tentata concussione
Il sindaco Palazzi nega, il sindaco Palazzi è distrutto. Il sindaco Palazzi, “amato o odiato, non puoi rimanergli indifferente”, dicono in città, “amato molto da Renzi”, dicono a Roma, aveva riconquistato la città dopo l’unica parentesi a destra della sua storia. “Dimagrito di cinque chili in una settimana”, adesso. “La morosa l’ha lasciato un minuto dopo l’avviso di garanzia”, ci dice una fonte segreta. “E’ chiuso in casa in città, solo con un cane”. Vuol dire come un cane? “No, proprio solo con la cagnetta Cuba”. La morosa l’ha lasciato come la moglie di Weinstein (anche se lei per fortuna non fabbrica quegli orribili monospalla).
Il sindaco Palazzi non ci risponde ai messaggi. Nessuno ci risponde in città. Chiamiamo avvocati, ex sindaci, nessuno risponde. Dicono che richiamano, ma non lo fanno.
Tra i palazzi, quello comunale è il meno grandioso: giallino, seppellito tra i baretti e i tavolini, e negozi d’abbigliamento giovane, con una maglia che dice: “Bad choices make good memories”. Speriamo. All’Osteria delle Erbe cala la sera brumosa, mentre passano dei suv tra le innumerevoli regge di questa capitalina rustica che sembra Vienna o Monaco; ma ha un quinto degli abitanti di Brescia. Le macchine si aggirano tra le poche vie scampate alla pedonalizzazione spinta (cavallo di battaglia di Palazzi). Un avvocato al bar. Parla con un “piccolo” di studio: “Non vuol dire niente che la denuncia non sia venuta dalla vittima. Se il pubblico ministero viene a conoscenza del reato si procede d’ufficio”. Poi scappa via nel gelo col suo cappottone. Il cameriere Felipe, brasiliano, dice che il sindaco veniva sempre a mangiare qui. Quando ancora mangiava. Soprattutto Felipe però teorizza: “Non capisco tutto questo entusiasmo sul sesso. Ma da noi in Brasile in cambio degli appalti si danno soldi. Una scopata? Mi sembra molto poco”.
Il massone Longfils, ci hanno detto, è una vita che fa esposti e denunce: "Non è una questione personale!", dice
La Nizzoli è sparita dalla circolazione. Lei è la vicepresidente, e la presunta tentata concussa. Salendo di grado, la presidentessa dell’associazione è invece Cinzia Goldoni, cinquantenne, anche lei scrittrice, esperta in libri di streghe (quanto si scrive, in provincia). Compriamo il pregiato volume (sono 666 copie, naturalmente numero diabolico, noi siamo in possesso della copia 307). Qualcuno ci dice che queste due signore in paese, pardon, città, sono molto chiacchierate, e insomma, sì, sportive. Insomma: un po’ mignotte, è il sottotesto. “Scambiste”, dicono. Addirittura. E poi: “La Nizzoli non è neanche di Mantova”. E forestiero, in provincia, è peggio che mignotta.
Noi naturalmente ci dissociamo, proviamo a chiamarle, ma niente. Cerchiamo anche il grande accusatore. Tutti dicono che sia Giuliano Longfils, settantenne capo della massoneria locale, consigliere comunale di Forza Italia, personaggio molto conosciuto in città. E’ un caso curioso: non solo la vittima nega d’essere vittima, ma l’accusatore è più misterioso dell’accusato. Grazie anche alle due procuratrici Manuela Fasolato e Donatella Palazzi, che non parlano, tacciono, tranne qualche muto comunicato di precisazione: trattasi di tentata concussione, e non molestia. Non parlano, ma continuano a interrogare. Due giorni fa è stata interrogata Marianna Pavesi, assessore all’istruzione. Tramite lei passano i finanziamenti e i patrocini, come quello che doveva andare alla “Mantua me genuit” ma poi non è andato; cioè, è andato il patrocinio, ma non il denaro.
Perché il sindaco, in questi fantomatici messaggi, che nessuno ha visto, oltre a esprimersi su irriferibili coreografie e angolazioni, avrebbe suggerito: o accetti la coreografia, o niente denari. Tutto sul filo del si dice. E del dickpic, il famigerato selfie anatomico che ormai noi maschi spendiamo più dei bitcoin. Ma, come la moneta virtuale, non ovunque è accettata di buon grado.
Intanto si studiano le strategie processuali: il sindaco Palazzi cambia team di difesa. Esce Paolo Gianolio, storico studio cittadino, entra Giacomo Lunghini, dello studio milanese Sangiorgi, studio grosso, scendono in campo i big. Anche avvocati romani, si vedono in piazza. Lunghini, al telefono, molto ottimista, ci dice che il prezioso telefono del sindaco non è ancora stato aperto. Dunque i dickpic eventuali non li ha visti ancora nessuno.
I mantovani intanto non parlano: suggeriscono, insufflano. Terra del resto di misteriche, leggendarie cattiverie. Un professore della locale università: “Non citarmi neanche morto!”. “Ricorda però che Shakespeare manda Romeo fino a Mantova a comprare il veleno”. E l’indispensabile Piovene: “Città-fortezza; la sua fisionomia è un prodotto d’incrocio. La determinarono insieme una natura che fu cruda, le necessità militari, ed una Corte dedita alla musica, alla pittura, ai fasti e al piacere di vivere”.
È un caso curioso: non solo
la vittima nega d'essere vittima,
ma l'accusatore è più misterioso dell'accusato
Andiamo alla Gazzetta di Mantova, il più antico quotidiano d’Italia, palazzone moderno di fronte allo stadio, il direttore Paolo Boldrini ci conferma quanto ha già scritto nei suoi editoriali. “Il sindaco ha dato una svolta alla città, l’ha fatta tornare al Pd dopo una parentesi di centrodestra e ora sta facendo bene. Però adesso serve un governo per la città, perché Mantova ha bisogno di un’amministrazione all’altezza”. Sede vacante, sindaco assente, due giorni fa c’era la giunta, e lui non si è presentato. Sta chiuso in casa con la cagnetta Cuba. Visto che nessuno ci risponde al telefono, attraversiamo la strada e andiamo a fare del turismo: palazzo Te, il glorioso maniero di campagna che Federico Gonzaga costruì per la sua amante Isabella Boschetti, soprannominata “la bella boschetta”.
Mentre siamo sotto le volte cinquecentesche ci sono dei salottini per dei bunga bunga d’epoca, nella sala “delle Imprese” c’è il simbolo del ramarro, rettile dal sangue freddo come la Boschetta che evidentemente resisteva al marchese, e poi la scritta latina, “quod huic deest me torquet”, ciò che manca a lui (il ramarro) tormenta a me”. La passione. Che il sindaco scrivesse alla sua ramarra in preda a furore non corrisposto? Mentre siamo preda di questi interrogativi nel museo deserto ecco che improvvisamente richiamano tutti. Prima la presunta grande accusatrice.
La presidentessa Cinzia Goldoni in persona. Oh, insomma, è lei che accusa il sindaco? E’ lei la strega? “Ma neanche per sogno. Non son stata io”, dice. “Anche se l’avrei voluto tanto fare. Io non ho mica paura!”. La Nizzoli, la vice-strega invece sì. “Oh, sì, lei è terrorizzata. Mi diceva: io non sono te! Lui mi distruggerà!”. Veramente la vice-strega lo difende. “All’inizio sì, oggi non saprei. Io ho tentato di farglielo denunciare ma non c’è stato verso. Mica tutte hanno il mio coraggio”, dice la capa-strega. Come mai tutto questo interesse per le streghe? “Ah, ma io sono una storica, ho anche scritto un altro libro di storia mantovana!”. E di lavoro cosa fa? “Mah, adesso organizzo degli spettacoli teatrali. E poi la gita a Castellaro Lagusello”. Sì, ma di lavoro? “Oh, sono stata tanto nel commerciale. Adesso basta. Già c’è mio marito che lavora tanto, è sempre in viaggio”. Ma insomma chi l’ha accusato, il sindaco? “Ah, io i messaggi li ho visti e li ho fatti vedere a due avvocati. Queste cose volano, sa, in provincia. Saranno arrivati nelle mani di…”. In che mani? Signora strega, non ci lasci in sospeso (mentre parliamo, il ramarro dall’affresco sembra guardarci con aria interrogativa, si sta appassionando anche lui alla storia). “Eh, un vecchio consigliere comunale, una persona molto attenta a cosa succede in città!”. Longfils? “Ah, non so mica!”, poi saluta. Un’ultima curiosità. Ma siete, ehm, escort? La strega ride, con una risata stregonesca. “Ma no, ce ne han dette di tutti i colori. Il fatto è che le streghe fanno ancora paura! Le streghe le bruciano ancora sui roghi!”.
Appena attacchiamo ecco un’altra chiamata, con coincidenza stregonesca. E’ il massone. “Sono Giuliano Longfils!”. Eccoci pronti. Longfils, ci hanno detto, è una vita che fa esposti e denunce. Unico caso di massone moralizzatore. E’ lei il grande accusatore, signor massone? “Siccome c’è un’indagine ottempero a quello che è un dettato di ogni pubblico amministratore. Mi attengo al segreto d’ufficio”, dice, e ce lo immaginiamo un po’ come un Furio, ma in grembiulino. E’ vero che lei è il gran maestro della massoneria mantovana? Ci cazzia subito. “Certo che sono massone, lo sanno tutti. Ma sono solo maestro. Gran maestro è il capo di tutte le logge. Io sono stato maestro venerabile per un triennio, poi ho smesso”. Massoneria a tempo determinato? “Rinnovato tre anni, poi ho perso la venerabilità”. Dev’essere stato difficile, perdere la venerabilità. “Guardi che i massoni hanno salvato l’Italia, hanno fatto il Risorgimento. Sono stati massoni Fleming, vari presidenti americani, Einstein”. Da Einstein a Weinstein, vabbè.
Ma insomma chi l'ha accusato,
il sindaco? "Queste cose volano,
sa, in provincia. Saranno arrivati nelle mani di…"
Ma voi usate la vita privata del sindaco per abbatterlo politicamente. Questo non è bello. “Assolutamente no, guardi, non è una questione personale! Io sono stato segretario del partito liberale dal 1975 e dal 1980 a oggi sono in consiglio comunale. Ho già mandato a casa un precedente sindaco, era la signora Pinfari. Nel 1995, Chiara Pinfari. E’ stata dichiarata decaduta per un mio ricorso”. Complimenti, Longfils. “Grazie. Siamo andati fino in Cassazione. Io voglio la trasparenza, sono sempre stato così!”. Però accanirsi contro il povero Palazzi, è dimagrito, sta male. Per dei messaggini. “Se sta diventando anoressico mi dispiace. Avrà un rovello, immagino. Ma lui ora è un sindaco a metà. E’ un dimidiatus menander”. Prego? “Era Cesare che definiva Terenzio dimidiatus menander, un Menandro a metà. Il sindaco se ha preoccupazioni morali non può svolgere l’attività politica. E non venire in Consiglio come l’altra sera, quando ha detto: fidatevi di me. L’atto di fede si fa in chiesa!”. Va bene, Longfils, ci arrendiamo. Ma questo suo cognome? “I miei antenati venivano dalla Vallonia, aprirono le ferrotramvie mantovane nel 1850. La ferrovia si chiamava infatti la Belga”.
Storditi dall’oratoria massonica, proseguiamo la visita al palazzo Te ed entriamo nella camera di Amore e Psiche, nella sala cioè che il Gonzaga arrapato aveva creato con scene molto porno by Giulio Romano: starring Marte e Venere, immersi in una jacuzzi lei con boschetto rasato, un tripudio di chiappe di amorini under age; poi Bacco e Arianna con satiri in agguato e ancora amorini che senza niente sotto e anche molto già sviluppati cavalcano caproni strusciandosi molto. E poi Venere e Adone con tigri e elefanti e piselli tutti rasati e aggettanti in testa agli spettatori (che disastro sarebbe, oggi, anche con gli animalisti).
E poi addirittura un Giove che accenna appena appena a trasformarsi in serpente ma ha già un impressionante pisellone sguainato ed eretto, e assale Olimpiade. Anzi glielo appoggia proprio sulla gamba (neanche Weinstein, né Louis C.K., oserebbero tanto). E’ naturalmente un’allegoria del marchese medesimo, che qui si traveste e congiunge finalmente con la sua amante.
Fuori, nel gelo umido, ci viene poi un lampo: con queste umidità e questi climi, all’epoca pure senza Netflix, un po’ di zozzoneria reale o più spesso visuale saranno state l’unica via per tirare avanti (non tutti possono avere Giulio Romano, oggi ci si accontenta del selfie, vabbè).