A Roma il comune spelacchia anche il Macro
C’è un nuovo (non) direttore, altro che bandi per curriculum. L’assessore Bergamo sceglie un suo amico “videomaker”. Qualche riflessione
Spelacchio è vivo e lotta insieme a noi. Il defunto albero di Natale assurto a simbolo planetario della decadenza capitolina, rispunta subito come un’araba fenice nelle politiche culturali, spelacchiate appunto, ma dettate dall’assessore Luca Bergamo, il Jack Lang a cinque stelle. Ieri infatti è stato finalmente nominato il nuovo direttore del Macro, museo comunale d’arte, con una conferenza stampa annunciata solo il giorno prima e con un comunicato senza precedenti: un non programma. Del resto tutti si spendevano a ribadire che Giorgio de Finis, con la d rigorosamente minuscola, è un non direttore e il nuovo Macro un non museo, ma in un luogo “ospitale, una casa, una piazza” dove si potrà “stare” invece che “visitare”. A parte la clamorosa nomina diretta e bonapartista di de Finis, in barba al dogma grillino dei bandi per curriculum – in questo modo si è aggirata la procedura pubblica obbligatoria, per questo sottolineano continuamente che non è direttore – e la durata di quindici mesi che è segno che nemmeno la giunta si fida di questo esperimento, è proprio la filosofia dell’operazione che fa ridere.
Fa ridere che venga indicato un non curatore, non storico o critico d’arte, ma antropologo-videomaker reso celebre – si fa per dire – dall’occupazione di una ex fabbrica abbandonata dove si sono rifugiati senzatetto in imporre opere d’arte non richieste. Ma la cosa più buffa è la nomina diretta sull’onda dei grandi successi del Maam e del Dif, museo diffuso di Formello, ovviamente tutti soi-disant. Del Maam abbiamo già scritto, cinico luogo di degrado dove i senzatetto sono usati come scudi umani strappa lacrime di fronte alle istituzioni con le quali un tempo de Finis teorizzava non si dovesse nemmeno dialogare, la periferia contro il centro ecc. Il Dif invece è noto oltre che per la scarsità di visitatori, per un esposto dei cittadini contro un’opera d’arte piazzata nel locale cimitero e scambiata per il resto di una messa nera anziché di un museo diffuso. Ora invece con le istituzioni non solo ci si dialoga, ma le si conquista e teorizzando che non si devono staccare biglietti, non si devono coinvolgere i privati e anzi si “opta per una temporanea sospensione delle mostre”. Ma allora cosa ci va a fare? Cosa c’entrava Michelangelo Pistoletto al suo fianco? Ci va forse per affermare il principio dell’autocandidatura degli artisti, che devono solo autoproclamarsi tali per partecipare alle magnifiche sorti e progressive del Macro, proprio lui che è stato nominato per regio decreto anzi per Raggi decreto senza bando? Oppure tutto si spiega con la parola magica “gioco”? I musei non sono tutto meno che un gioco: sono luoghi di studio, di programmazione (altro che 15 mesi), di rapporti con altre istituzioni internazionali per scambi reciproci di opere al fine della loro massima valorizzazione e luoghi di lavoro non solo per studiosi d’arte, architetti, allestitori, ma per tutte le maestranze e il personale di vigilanza con fondi certi da trovare e blindare. Stipendi, bollette, contratti, formazione, altro che “processi relazionali” o “performativi”.
Nel nuovo Macro invece non avremo niente di tutto questo, ma fantasie al potere, al massimo potremo sperare in “collane di libri”, immaginiamo non dei grandi editori specializzati (Electa, Skira, Silvana), cattivoni collusi cogli interessi privati, ma magari per i marchi “indipendenti” con cui de Finis ha già collaborato: Dets, Postcart, Graffietti, Bordeaux… Visto che torneremo presto ai vecchi dibattiti sull’arte impegnata, chiudiamo in bellezza con una citazione dello studioso di estetica Franco Rella (Il segreto di Manet, Bompiani 2017, € 11): “L’arte non deve essere edificante… L’arte si muove non ‘per insegnare’ ma per cercare… Potremmo dire che il suo compito è di dare figura a ciò che non ha espressione”. Probabilmente sbagliamo a prendercela così tanto, il nuovo Macro spelacchiato senza direttore, senza i privati, senza ufficio stampa sarà sicuramente un nuovo tipo di opera d’arte di cui ci sfugge il genere, ma che dà già espressione più che a una figura, a una figuraccia.
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