Così si smantella un presidio di modernità civile nel suq di Termini
La società civile dell'Esquilino in subbuglio, pronta a scendere in campo contro la chiusura del Mercato centrale. Il carciofo non si tocca
Roma. La voce corre subito, arrivano messaggi, telefonate, appelli costernati. Hanno chiuso il Mercato centrale! La società civile del quartiere Esquilino è in subbuglio. Si va. Il banco incriminato è lì, quello dei carciofi, i carciofi che venivano mondati in pubblico, pratica vietatissima dalla Asl, e che è alla base della chiusura temporanea del Mercato centrale, che nella sua versione romana aveva collocato il banco dei carciofi proprio a destra dell’ingresso. Nel cuore della stazione Termini, che adesso ospita botteghe e ristoranti e romani che hanno ritrovato un punto fermo nella crisi valoriale del presente.
Va bene Spelacchio, va bene la monnezza, ma il fritto non si tocca. “E’ quello che aveva più successo di tutti”, ci dice un’addetta che ci fa entrare di straforo al piano terra del Mercato, chiuso al pubblico per “manutenzione straordinaria”, cioè per il blocco imposto dall’Asl. Fuori passano i pullman per l’aeroporto di Ciampino, e dentro, sopra il banco dei carciofi, deserto, un menu recita le mille versioni del fritto: “alla romana”, “alla giudia” (si confondono sempre anche i migliori di noi), “fini fini a carpaccio”, “co’ le patate”, “fritti fritti tajati fini”.
In realtà il Mercato centrale, tempio della ristorazione aperto un anno fa nel ventre marmoreo della stazione, così vuoto è anche più bello: di solito è stracolmo di turisti ma soprattutto di romani che vengono per il carciofo e non solo, in un rinnovato orgoglio local di celebrità gastronomiche a chilometri zero: dal trapizzino di Stefano Callegari alla pizza di Gabriele Bonci a nuove star in ascesa, come “Pier Daniele Seu e la sua pizza tonda”, ci dicono (ma come, come dovrebbe essere la pizza, quadrata?). Su tutti i fritti e le pizze si erge maestosa la cappa mazzoniana, la più bella del mondo, che finalmente ha qualcosa da aspirare, dopo esser stata progettata per una mensa dei ferrovieri dal povero Angiolo Mazzoni, struggente archistar fascia (Poste a Sabaudia su tutto).
Sopra, all’ultimo piano, c’è l’incubatore di startup della Luiss, il posto più tecnologico di Roma. Ma non c’è dubbio che la nostra Silicon Valley è sotto, col distretto del carciofo fritto. “Era così bello vedere che pulivano i carciofi davanti a tutti”, dice costernata una frequentatrice. La società civile del quartiere esquilino, forse Roma tutta, è pronta a scendere in campo. Il carciofo non si tocca.
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