Senza se e senza ma
La caccia armata ai neri è ributtante, e va repressa con energia
Abbiamo usato la formula “senza se e senza ma” per scongiurare una legge di flessibilità sul lavoro che, una volta arrivata, ha creato lavoro. Ma dopo Macerata, una strage tentata da un salviniano demente che ha infangato il tricolore, è tutto un se e un ma, prove di sociologia della paura. Abbiamo usato la formula retorica “siamo tutti americani” eccetera dopo l’11 settembre, siamo tutti Charlie eccetera dopo la strage del 7 gennaio 2015, ma dopo Macerata non abbiamo detto siamo tutti Jennifer o Mahamadou. Strano, no?
Michael Ignatieff è il biografo del maggior intellettuale liberale del Novecento, Isaiah Berlin, di cui fu grande amico e correligionario in liberalismo, e di recente ha dichiarato a Antonello Guerrera che per battere nazionalismo e populismo in Europa “bisogna chiudere le frontiere”. Se c’è stata la Brexit, se c’è Trump alla Casa Bianca, se la Germania non ha un governo dallo scorso mese di settembre, se l’Europa dell’est ormai fa storia a sé, se gli ebrei scappano dalla Francia e Calais è una ferita che sembra non rimarginabile, sebbene con Macron quel paese si sia salvato dal peggio scegliendo il meglio, se la campagna elettorale italiana è un urlo nel buio affacciato sul vuoto, alle origini c’è la sindrome da paura dell’immigrazione, l’invasione dei poveracci e dei rifugiati, il grande rimpiazzo etnico, la bomba sociale. Dunque un problema esiste. L’immigrazione va controllata, limitata, integrata senza piagnistei e con la presa d’atto di una crisi migratoria di portata biblica e di una rinuncia a politiche nataliste nel nostro mondo, che avrà se non sanata conseguenze disastrose. Va affrontata nel lungo periodo con politiche impegnative di riassetto delle relazioni internazionali e di egemonia economica, politica e militare dei criteri di libertà e di eguaglianza che sono parte del patrimonio politico del mondo occidentale.
Però dopo l’esplosione in un gesto omicida del risentimento razzista di Macerata bisogna essere decisamente negazionisti verso l’ideologia dell’odio razziale. Non c’è bisogno di retorica. La caccia armata ai neri è solo e soltanto ributtante, senza se e senza ma. Deve essere repressa con energia.
Considero Salvini e i disperati neofascisti dei facinorosi, e le loro banali idee demagogiche e criminogene, ma fino a prova contraria sono parte di una competizione elettorale formalmente democratica: senza essere accusati di aver conferito mandati di strage, perché garantismo e stato di diritto non sono ferrivecchi, devono però essere chiamati a rispondere nel dibattito pubblico del carattere extrademocratico delle loro campagne xenofobe. La xenofobia è un sentimento di paura in certi casi perfino comprensibile. Il suo sfruttamento a scopi di promozione politico-elettorale, con un linguaggio insieme troppo astratto dalla realtà dell’immigrazione e troppo concreto per non provocare conseguenze estreme, non è un rigetto culturale e identitario della convivenza multiculturale, è un’infamia. Senza se e senza ma.
Il nativismo e il razzismo, con l’eccezione delle leggi in difesa della razza promulgate da Mussolini e da una dinastia regale condannata alla nascita della Repubblica, non appartengono alla storia di questo paese. Razzismo e antisemitismo sono stati una sottocultura universale, la lingua dell’odio e dell’incomprensione si è parlata per secoli anche in occidente, ma siamo per fortuna tra gli ultimi nella classifica, anche in virtù di una radicata tradizione cattolica emancipatasi dall’antigiudaismo cristiano con il Concilio Ecumenico Vaticano II. Il meticciato italiano ha una sua gloriosa identità cosmopolita che se la ride del biologismo, dell’etnicismo e del razzismo. Dietro questo rigurgito, questo vomito di piombo, c’è la dismissione dal loro ruolo delle classi dirigenti, l’incapacità di dialogo e di formazione del discorso pubblico, la crisi dell’istruzione e la dilagante stupidità dei media, dei social e della cultura. E una piattaforma demagogica costruita artificialmente a fini di mero potere.
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