Sorpresa, i lettori di giornali vogliono pagare sempre di più per leggere cose belle
La scelta del Foglio di far pagare parte dei contenuti sul proprio sito web e quella ricerca americana che fa ben sperare
Roma. Il Foglio è stato uno dei primi quotidiani italiani a scegliere di far pagare parte dei contenuti sul proprio sito web. Lo fece dieci anni fa, quando il giornalismo nel nostro paese si illudeva di potere andare avanti come sempre, con lettori affezionati in edicola e poca concorrenza. Ignari della portata che internet già aveva e avrebbe avuto, i giornali pubblicavano gratis sui propri siti gli stessi articoli che uscivano nell’edizione cartacea, abituando i lettori ad avere tutto subito e senza spese. Per cavarsela con una banalità in poche battute, si può dire che da allora il mondo è cambiato, il sistema dell’informazione è stato rivoluzionato dall’innovazione tecnologica, dalle crisi economiche e dall’approssimazione con cui tanti giornalisti hanno cominciato a fare il proprio lavoro.
Quando in Italia ci si è accorti che sempre meno persone andavano in edicola, invece di pensare a fare un prodotto migliore, si è cominciato a fare edizioni di carta con notizie già vecchie e edizioni online il cui unico scopo era raccogliere il maggior numero di clic, non importa in che modo: tutto o quasi era pubblicabile, purché prima degli altri. Le pubblicità pagavano (e pagano ancora, ma meno) a clic, e il clic era l’unico padrone dei giornali. La conseguenza è stata il crollo della qualità degli articoli, il moltiplicarsi di fake news dovute alla fretta di pubblicare per primi (Fidel Castro è morto diverse volte sulle homepage dei nostri giornali prima di morire per davvero) e la disaffezione dei lettori, che trovavano anche altrove “notizie” più o meno uguali a quelle dei siti dei grandi quotidiani.
Come sempre l’America arriva prima di noi, e da tempo – pur non avendo ancora risolto del tutto la crisi dell’editoria giornalistica mondiale – sta tracciando un solco nel quale potrebbero germogliare i semi della rinascita. Una recente ricerca condotta dal Media Insight Project (un’iniziativa dell’American Press Institute e dell’Associated Press-NORC Center for Public Affairs Research) spiega come nel prossimo futuro i ricavi dei giornali arriveranno sempre più dagli abbonamenti e sempre meno dalla pubblicità. Questo, spiega il documento – frutto di un’indagine fatta su migliaia di lettori lungo l’arco di 18 mesi negli Stati Uniti – costringerà le redazioni a ripensare priorità e contenuti, indagando sui motivi per cui i lettori sono disposti a pagare: più spazio a inchieste, articoli e opinioni di qualità, meno ai riempitivi da click baiting sul sito, ad esempio. L’esempio recente più noto è quello del New York Times, che nell’ultimo anno ha aumentato in maniera vertiginosa i propri abbonati digitali, complice l’elezione di Trump, che il quotidiano newyorkese critica apertamente. La ricerca lancia anche un avvertimento che molti editori, soprattutto italiani, farebbero bene a tenere in considerazione: se è vero che i lettori pagano per leggere articoli di qualità e che incontrano i loro interessi personali, ridurre il numero dei redattori e dei collaboratori per puntare a margini di profitto più alti nell’immediato penalizza qualunque strategia pensata per aumentare gli abbonati nel lungo periodo. E’ naturale che anche la modalità con cui la raccolta pubblicitaria viene portata avanti debba cambiare: non più basata sui clic, ma sull’attrattività che contenuti ben fatti possono avere su lettori che spendono volentieri i loro soldi per leggere articoli che altrove non potrebbero trovare.
La strada è lunga, ma tracciata. C’è un mare di lettori là fuori che vuole pagare per leggere belle storie, opinioni originali e articoli di qualità. Perché continuare a deluderli?
Politicamente corretto e panettone