“Progetto fallito”. Il M5s all'attacco della Casa Internazionale delle donne
Mentre gli assessori della giunta Raggi lavorano per trovare una soluzione ed evitare lo sfratto, alcune consigliere grilline depositano una relazione contro l'iniziativa in Commissione delle elette. E ora il Movimento rischia l'ennesimo cortocircuito
Non bastano i centri di consulenza legale e di assistenza psicologica alle donne vittime di violenza, i consultori medici e ginecologici, i progetti di orientamento al lavoro, le iniziative culturali, i laboratori e la cura della biblioteca archivio specializzata in storia e cultura delle donne. Non bastano neanche le migliaia di presenze che ogni anno, grazie al lavoro svolto delle 40 associazioni in questi tre decenni di attività, hanno fatto del complesso monumentale del Buon Pastore un punto di riferimento mondiale per l’associazionismo femminile.
Il progetto della Casa Internazionale delle donne, secondo il Movimento 5 Stelle romano che l’ha messo nero su bianco in una relazione depositata in Commissione delle elette, è sostanzialmente fallito. E di conseguenza, ma questo è un sottinteso evidente a tutti, può essere sfrattato dall’ex reclusorio di proprietà del Comune di Roma che occupa dal 1987 e per il quale ha già accumulato 883mila euro di canoni arretrati. Così se dopo il clamore del preavviso di sfratto recapitato alla Casa Internazionale delle donne nello scorso novembre dall’assessore al patrimonio Rosalba Castiglione le trattative con gli uffici comunali avevano fermato “la procedura coattiva per il recupero del credito e per il recupero del bene”, questa volta è una iniziativa della presidente della Commissione delle elette Gemma Guerrini a riaccendere una polemica che ha già scatenato proteste furiose e decine di appelli pubblici.
Non soddisfatta evidentemente di aver sollevato il mondo del cinema non solo italiano contro la giunta di Virginia Raggi quando nel pieno della polemica sul Cinema America definì “feticismo” “la reiterata proiezione di vecchi film che hanno in comune soltanto il fatto di essere famosi”, il vicepresidente vicario della commissione Cultura (lo è ancora, come ha raccontato Repubblica, nonostante avesse annunciato le dimissioni dopo il caos - foto sotto) questa volta ha messo nel mirino un altro simbolo della “sua” Trastevere. E lo ha fatto il 2 maggio scorso depositando in Commissione delle elette una lunga relazione in cui, dopo aver ripercorso con ostinata minuziosità tutta la storia burocratica della Casa Internazionale delle donne dall’assegnazione del Buon Pastore nel 1987 ad oggi passando per il riconoscimento nel 1992 tra le opere di Roma Capitale, boccia il progetto decretandone il sostanziale fallimento.
“Tre – si legge nelle conclusioni della relazione - sono gli obiettivi a cui, secondo le risultanze degli atti, l’affidatario del progetto “Casa Internazionale della donna” doveva impegnarsi: la realizzazione di un impatto positivo sulla città dal punto di vista culturale e sociale; la capacità di stimolare e supportare l’imprenditoria femminile; la realizzazione di un modello di programmazione economica, finanziaria e commerciale (il “cervello” gestionale del Progetto) tale da non gravare economicamente sulla amministrazione capitolina”. Ebbene, secondo il giudizio di Guerrini, mentre “il primo obbiettivo risulta in maniera documentata essere stato pienamente realizzato”, “dell’obiettivo numero 2 non si ha evidenza di prove, essendo venuta meno l’attività di verifica e di controllo da parte dell’organismo a ciò deputato”. Ancora peggio il giudizio sul terzo degli obiettivi, “completamente mancato – scrive Guerrini – essendo il Consorzio, affidatario del Progetto da realizzarsi nel complesso del Buon Pastore, fortemente debitore nei confronti dell’amministrazione capitolina nonostante la reiterata proroga concessa per il rientro dei debiti pregressi e nonostante il canone di concessione sia stato abbattuto dell’80% e poi del 90% il valore di mercato degli affitti”.
In realtà nel 2013, ai tempi della giunta di Ignazio Marino, i responsabili della Casa trattarono a lungo con il Comune sulla questione del debito e del canone di affitto insostenibile, arrivando ad un punto di incontro in base al quale il Campidoglio proponeva di valutare in 700mila euro annui di compensazione il valore dei servizi che le associazioni fornivano. Caduto Marino, però, il discorso si è interrotto e non è mai stato ripreso dalla giunta Raggi che invece ha deciso di procedere con il preavviso di sfratto. “Tali risultanze – chiude allora la relazione firmata da Gemma Guerrini quasi a sollecitare le ripresa di quell’iter – rappresentano in maniera incontrovertibile quegli esiti negativi del progetto della “Casa Internazionale della donna” sui quali la Commissione delle elette è tenuta a relazionare all’Assemblea Capitolina”.
Non è ancora chiaro quale sarà il destino della relazione, se sarà portata in assemblea capitolina o finirà sul tavolo della giunta di Virginia Raggi, ma di certo le parole scritte da Guerrini sembrano destinate a creare una profonda spaccatura all’interno del Movimento romano e a suscitare più di qualche imbarazzo per gli assessori che in questi mesi più si sono spesi per trovare una soluzione “pacifica” alla questione Casa Internazionale delle donne. Un’opera di mediazione, anche mediatica considerato il clamore suscitato dal preavviso di sfratto, che adesso rischia di saltare sotto i colpi dell’ala più oltranzista grillina. Non può essere un caso, infatti, che a dispetto delle quindici componenti della Commissione delle elette (compresa la vicepresidente) appartenenti al Movimento, soltanto sei abbiano apposto la propria firma sotto la relazione della Guerrini. Firme pesanti, però, considerato che ci sono anche quelle di Maria Agnese Catini, presidente della Commissione politiche sociali, di Valentina Vivarelli, presidente della Commissione patrimonio, e di Donatella Iorio, presidente della Commissione urbanistica. Resta da capire cosa farà ora Virginia Raggi e con lei i vertici del Movimento romano. Sconfessare la relazione di Gemma Guerrini firmata anche da esponenti “di rilievo” del Campidoglio a rischio di aprire una pericolosa spaccatura o lasciare che il documento faccia il suo iter col rischio che diventi base per un atto in aula e riaccenda una polemica velenosa con l’associazionismo e il mondo della cultura? A pochi giorni dalla figuraccia dell’Angelo Mai, con l’avviso di sgombero firmato dal dipartimento del patrimonio e recapitato a insaputa del vicesindaco e assessore alla Cultura Luca Bergamo, un nuovo corto circuito istituzionale rischia di mandare in fiamme il Movimento 5 Stelle romano.