Su Autostrade il governo dimentica che i contratti valgono più del populismo
Revocare la concessione è più complicato di quanto fanno pensare le dichiarazioni dopo il crollo di Ponte Morandi. E sarebbe particolarmente rischiosa per le tasche degli italiani
A voler fare affidamento sul testo della convenzione che disciplina il rapporto fra ANAS ed Autostrade per l’Italia s.p.a che risulta pubblicato sul sito web del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sembrerebbe che le dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, circa la volontà del Governo di procedere immediatamente alla revoca della concessione autostradale dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, necessitino di alcune indispensabili puntualizzazioni.
Il contratto, infatti, prevede che il concedente (vale a dire Anas s.p.a) possa riappropriarsi della gestione delle rete autostradale per due motivi.
In primo luogo, perché Anas (oggi il Ministero dei Trasporti) potrebbe ritenere di dovere esercitare la facoltà di revoca, recesso o risoluzione per inadempimento non grave. In questo caso il provvedimento amministrativo che lo Stato potrebbe utilizzare non necessiterebbe di particolare motivazione, dato che l’autorità pubblica può sempre riappropriarsi dei beni che si è limitata a concedere in gestione ad un soggetto privato. Il gestore/concessionario, in questa ipotesi, può vantare, però – in virtù del principio dell’affidamento che ha riposto sulla continuità del rapporto contrattuale fino alla normale conclusione dello stesso – un indennizzo che l’articolo 9 bis della Convenzione prevede nella misura pari a un importo corrispondete al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del procedimento di recesso, revoca o risoluzione del rapporto, sino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi costi, oneri, investimenti e imposte prevedibili nel medesimo periodo. A questa cifra dovranno essere ancora detratti il valore dell’indebitamento finanziario netto che lo Stato assumerebbe al posto del concessionario (una volta subentrato nella gestione della rete autostradale al posto della società privata) e tutti gli incassi che il concessionario uscente percepirebbe dalla data di emanazione del provvedimento di revoca/recesso/risoluzione sino alla data di subentro effettivo da parte della pubblica amministrazione. Si tratta, è bene chiarirlo, di un’ipotesi in presenza della quale non viene addebitato nessun inadempimento grave al concessionario autostradale, cosicché lo stato, non può né applicare alcun tipo di penale, né richiedere risarcimento danno alcuno. Dal canto suo il concessionario non può rivendicare alcunché perché verrebbe a trovarsi, in virtù del contratto e della legge, in una posizione di soggezione che gli consentirebbe di richiedere esclusivamente l’indennizzo economico. L’autorità pubblica, in altre parole, deciderebbe semplicemente di operare un mutamento nella politica di gestione della rete autostradale, passando dalla gestione in concessione a quella, per così dire, in house. L’esercizio di questo potere discrezionale, al fine di non rappresentare un’ingiustificabile soverchieria esclusivamente preordinata ad arrecare danno al privato concessionario, è però subordinata dall’articolo 5 della Convenzione al pagamento dell’indennizzo citato, tanto è vero che: “Resta in ogni caso convenuto che l’esercizio del recesso, revoca, risoluzione e comunque di cessazione anticipata della Convenzione di cui al presente articolo è sottoposta alla condizione del pagamento da parte del Concedente al Concessionario di tutte le somme previste nel presente articolo”.
Diversa è, invece, l’ipotesi in cui l’Anas (Ministero dei Trasporti) ravvisi un inadempimento grave imputabile al concessionario, come per esempio il mancato “mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse” (art. 3, comma 1, lett. f) della Convenzione). In questo caso, la struttura e la ratio della disposizione fanno ragionevolmente presuppone che incomba in capo alla pubblica amministrazione un onore di controllo e vigilanza, poiché è previsto dagli articoli 8 e 9 del contratto che solo in seguito ad apposita segnalazione circa la qualità, la natura e la gravità dell’inadempimento, il Concessionario possa valutare l’esistenza dell’inadempimento contestatogli e le modalità per porre fine allo stesso entro un lasso di tempo contrattualmente disciplinato. Solo qualora il Concessionario non dovesse porre rimedio alla gravità dell’inadempimento imputatogli dalla pubblica amministrazione, quest’ultima potrebbe procedere alla declaratoria di decadenza dalla Concessione. Appare evidente come, in questo caso, la legittimità dell’azione dello stato passi dalla dimostrazione dell’esistenza dell’inadempimento e dalla possibilità che il concessionario dimostri che l'inadempimento non gli sia imputabile, perché diversamente la decadenza sarebbe palesemente illegittima.
La convenzione, tuttavia, prevede che anche per l’ipotesi di decadenza a seguito di inadempienze gravi, spetti al concessionario un indennizzo che, partendo dalla identica misura di quello che gli toccherebbe nel caso in cui andrebbe incontro alla revoca o al recesso incolpevoli, dovrebbe essere decurtato, dapprima, in ragione del 10 per cento a titolo di penale per l’inadempimento grave commesso, ed eventualmente con il maggior danno subito dal Concedente per la parte eccedente la predetta penale forfetaria.
Alla luce della ricostruzione del quadro normativo, appare evidente come il Governo Conte abbia due sole possibilità.
Qualora ritenesse di non dovere imputare alcun inadempimento grave ad Autostrade, potrebbe revocare la concessione senza esporre alcuna particolare giustificazione, ma dovrebbe, allo stesso tempo, procedere all’immediato pagamento dell’indennizzo nella misura già indicata che, secondo alcune indiscrezioni non ancora adeguatamente vagliate, potrebbe ammontare sino a 20 miliardi di euro. In questo caso, è bene ricordare che la revoca/recesso/risoluzione non avrebbe effetto se non dopo l’avvenuta corresponsione dell’indennizzo stesso.
Nel caso in cui, invece, il governo volesse imputare ad Autostrade un inadempimento grave, come sembrano far pensare le dichiarazioni rilasciate dagli esponenti dell’esecutivo, dovrà riconoscere (secondo la lettera del contratto) nell’ordine le seguenti facoltà: quella di potere contraddire in sede procedimentale e processuale circa la reale sussistenza dell’inadempimento colpevole relativo al crollo del ponte di Genova, quella di potere provvedere a rimediare all’inadempimento e a ricostruire le opere autostradali oggetto del disastro (come sembra già avere proposto la Concessionaria), quella di accertare l’entità della corresponsabilità dell’Anas per mancata vigilanza e segnalazione dell’inadempimento, quella di ottenere comunque l’indennizzo nella misura del valore attuale netto dei ricavi della gestione e di opporsi al trasferimento della gestione fino a che l’indennizzo non sarebbe pagato, quella di contraddire in ordine all’applicabilità della penale nel 10% o in una misura inferiore, quella, in ultimo, di contestare l’eventuale richiesta di risarcimento danni avanzata dal Concedente per un ammontare (superiore al 10% della penale medesima) che necessiterebbe per la ricostruzione da parte dello Stato delle opere distrutte.
Un percorso, come appare evidente, un po' più complicato della populistica nonchalance con la quale sono state rilasciate alcune dichiarazioni a favore di telecamera e particolarmente rischioso per le tasche dei contribuenti italiani.
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