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Brencich, il critico del ponte Morandi, dice che "nessuno aveva mai previsto il crollo"

Valerio Valentini

A febbraio dette il via libera al progetto di Autostrade e ora è nella commissione ispettiva del Mit. "In imbarazzo per il mio doppio ruolo? No. Noi potevamo solo dare un parere consultivo, spettava semmai al ministero disporre nuovi atti"

Roma. Sentirselo dire da chi le debolezze del viadotto Polcevera le ha denunciate in tempi non sospetti, fa un certo effetto. “No, non c’è stato alcun allarme inascoltato”. Antonio Brencich è professore associato al dipartimento di Ingegneria civile dell’Università di Genova. In città era conosciuto come il critico più spietato del ponte Morandi: era lui che già nel 2016 lo definiva “un fallimento dell’ingegneria”. E però, nel racconto un po’ esagitato di questi giorni del dopo-tragedia, lo stesso Brencich viene descritto – figura ormai tipica, nella narrativa canonica del post-sciagura, quasi una maschera da macabra commedia dell’arte – come uno tra quelli che sapeva e non ha fatto quel che avrebbe potuto per evitare la catastrofe. Sorride d’amarezza, quando glielo si fa notare. “Ma ci tengo – dice – a sgomberare il campo da un equivoco: che quel ponte stesse per crollare non lo ha mai detto né scritto nessuno. Non c’è stata alcuna analisi, almeno tra quelle a me note, almeno tra quelle di cui tanto si parla, che aveva previsto l’imminente collasso”.

 

“Noi dovevamo solo valutare. Spettava al Mit, semmai, disporre altri atti”

E tuttavia nelle polemiche d’ordinanza di queste ore, anche Brencich è finito nell’elenco degli imputati, per via del fatto che proprio lui, insieme all’architetto Roberto Ferrazza, sono stati inseriti da Danilo Toninelli nella commissione ispettiva del ministero dei Trasporti, quella che deve indagare sulle cause del crollo del Morandi; e però entrambi, insieme a tre loro colleghi, nel febbraio scorso redassero una relazione per il provveditorato ligure alle Opere pubbliche in cui si mettevano in luce i difetti del viadotto, ma non se ne dichiarava la pericolosità. Di qui, il solito ritornello: sapevano, e non hanno fatto nulla. “Andiamo per ordine”, esordisce Brencich. “A ottobre del 2017 la società Autostrade chiede al Politecnico di Milano una relazione sul ponte, in vista di un progetto di rafforzamento della struttura. Quella relazione, il mese successivo, viene inviata al ministero dei Trasporti, che a sua volta la spedisce al provveditorato ligure per un ulteriore controllo. Il tutto per dire – chiarisce Brencich, dopo avere riassunto questa babelica, italica trafila di lettere e riunioni – che a noi, come commissione, spettava un semplice parere consultivo. Non avevamo alcun potere d’introdurre modifiche al progetto che ci veniva sottoposto. Non avevamo alcuna possibilità di effettuare sopralluoghi ulteriori. Sarebbe semmai spettato al ministero disporre altri atti. Noi constatammo che Autostrade s’impegnava a fare dei lavori che sembravano seri e impegnativi, e verificammo che i calcoli e le analisi contenute nel dossier fossero attendibili”.

 

“Mi caccino pure, se vogliono. E' un incarico oneroso, e a titolo gratuito”

E insomma se è sul suo eventuale imbarazzo che lo si interroga – sull’imbarazzo, cioè, che il suo incarico nella commissione ispettiva del Mit dovrebbe ingenerare in lui – Brencich, milanese classe ’67, spiega che “no, non ne provo, perché non sono mai stato chiamato a dare un giudizio sulla sicurezza del ponte. Se poi mi si dovesse chiedere di farmi da parte, non opporrei resistenza: un incarico così gravoso e a titolo gratuito lo si svolge per spirito di servizio, non certo per altri interessi”. E poi, però, aggiunge dell’altro. E afferma che, al di là delle sciocche semplificazioni sul presunto “mancato allarme”, delle altre ne stanno circolando. “Si sta facendo passare il messaggio che i dati che si conoscevano sul Morandi fossero davvero allarmanti”. E non è così? “Assolutamente no. Nel progetto di consolidamento che Autostrade aveva elaborato, e che visionammo al provveditorato, si constatava una corrosione tra il 10 e il 20 per cento dei tiranti, ma si evidenziava come, fino alla soglia del 50 per cento, non ci sarebbero dovuti essere problemi”. Come è possibile? “Le strutture hanno sempre delle riserve di sicurezza: sono progettate per portare più carico di quello che dovrebbero sopportare a norma di legge. Dunque, ammesso che ci sia un certo degrado, questo diventa davvero grave solo se fa decadere la portata della struttura al di sotto della soglia minima. E non era il caso del Morandi”.


“Distribuire colpe adesso è azzardato”
E la relazione del Politecnico di Milano? “Anche quella non segnalava alcun pericolo. Si limitava a riscontrare delle asimmetrie nella risposta degli stralli: una anomalia, certo, ma che non comportava né la necessità di nuovi controlli tantomeno l’ammissione di un rischio sulla tenuta del ponte. Si parlava di un logoramento effettivo tra l’8 e il 16 per cento, e nel progetto si assumeva quella cifra arrotondata per eccesso: 20 per cento. Non solo: vi erano contenute delle elaborazioni secondo cui c’era ancora del margine rispetto ai massimi carichi sostenibili del ponte. La sicurezza era ancora garantita, e le opere di consolidamento pensate da Autostrade per rafforzare l’opera andavano nella giusta direzione, erano giustificate dal tasso di corrosione rilevato. Del resto il provveditorato non poteva fare altro che basarsi sui dati che gli erano stati trasmessi. Per questo abbiamo approvato e mandato le carte al ministero: i lavori sarebbero dovuti partire a ottobre”. Eppure il ponte è crollato: forse non era solo del 15 o 20 per cento, il deterioramento degli stralli? “Presto per dirlo. Le indagini sono, per forza di cose, ad uno stadio preliminare, anzi perliminarissimo. Per prima cosa, bisognerà raccogliere dei dati, poi individuare le cause del crollo: e non sarà facile, dal momento che si dovrà risalire alla causa prima della rottura, conducendo ricerche tra le macerie in una situazione estremamente compromessa dalle necessarie operazioni di salvataggio e di recupero delle vittime. E infine, si dovranno stabilire le cause, tenendo anche conto di quali fossero gli oneri sui controlli che la convenzione tra lo stato e Autostrade poneva in capo al gestore. Fino ad allora, dunque, distribuire colpe e condanne sarà quantomeno azzardato”.