All'improvviso arrivava Vincino, pieno di cose arruffate e di genio
Veniva a prendermi i libri, a regalarmi poesie. Sorrideva anche mentre soffriva, e il sorriso era diventato più malinconico e più dolce, la voce più esile
All’improvviso arrivava Vincino. Camminava, ma con quelle gambe e quelle braccia lunghe sembrava una corsa, anzi una volata. Camminava, ma portava con sé un vento pieno di cose arruffate, matite, fogli, giornali, occhiali che cascano e una borsa a tracolla strapiena di genio e di gentilezza. La redazione diventava più bella, diventava Parigi, il mare di Sicilia, il caffè fumoso degli artisti, e il Foglio ogni volta diventava un affresco. Gli sorridevano gli occhi mentre disegnava e anche mentre ci guardava e ci disegnava tutti, sempre da sotto in su anche se era il più alto. Guardava in un modo soltanto suo, un po’ dal basso e un po’ di lato, con gli occhiali e tutto il corpo si immergeva per poi riemergere, e dopo tanti anni l’ho capito: cercava una fessura per entrare, perché Vincino guardava prima dentro e poi fuori. E mi diceva: non truccarti. E allora io non mi truccavo. E diceva: non tagliarti i capelli. E allora io li ho lasciati crescere. Diceva, con una voce bassa, sgualcita, ingenua: e quindi oggi che succede?, ma lui lo sapeva già.
Sorrideva anche mentre soffriva, e il sorriso era diventato più malinconico e più dolce, la voce più esile. Non mi ha mai detto: sto male. E io non glielo ho mai chiesto, per paura, per imbarazzo, per l’ammirazione verso quello sguardo che si infilava in profondità e poi usciva fuori con poche parole leggere e molti disegni, tanti dettagli. Gli mandavo un messaggio cretino e lui rispondeva velocissimo con un disegno geniale. Al telefono urlavo, perché non riuscivo a sentirlo. Io urlavo e lui rideva, e diceva: hai dei libri per me? Vengo a prenderli. Ho uno scaffale di thriller per lui, gli tenevo da parte quelli con i titoli che potessero piacergli, cose non pretenziose come: terrore, crudeltà, ira, fuoco, devastazione. Si innervosiva solo per i disegni brutti sulle copertine. L’uomo più gentile del mondo, che è riuscito a far entrare il cielo dentro la testa, e a mettere perfino le giornate politiche dentro il cielo, si divertiva con i libri sanguinosi e terrificanti. Mi prestava i suoi pennarelli neri stupendi, che nelle mie mani tornavano a essere niente. Gli piacevano tanto i bambini, i ricordi, il mare, le sue figlie e sua moglie. Di loro diceva cose così piene d’amore e di bellezza che mi dimenticavo di avere di fronte un grande della satira. Mi sembrava di più un poeta. Ho un cassetto pieno dei suoi disegni. Per me, sono poesie.
generazione ansiosa