La truce simbologia del caso Riace
Il modello Matteotti nell’epoca del governo farlocco. Più ancora delle motivazioni dell’arresto del “sindaco dell’accoglienza” Mimmo Lucano (che paiono deboli pure alla procura) spaventano le rivendicazioni politiche e “morali”. Contro indagine
“L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa; gliela daremo con l’amore, se è possibile, o con la forza se sarà necessario”. Bella, no? Piena di patriottismo. E adatta ai tempi. Tempi in cui quel che il popolo vuole bisogna farglielo avere con la forza, perché la democrazia delle regole non funziona più. Non sarebbe necessario ricordare – ma vista la qualità del dibattito politico attuale forse è meglio di sì – che è un passaggio del discorso del 3 gennaio 1925 la cui frase più celebre è: “Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto”. Il discorso con cui Mussolini rivendicò il delitto Matteotti. Per molti la data di nascita del fascismo, mentre l’opposizione si adunava senza costrutto sull’Aventino. Per altri, più semplicemente, il prototipo della rivendicazione di pratiche non democratiche come gesto esemplare e muscolare della politica del cambiamento (cambiamento delle regole). Niente di buono, in ogni caso.
Ieri all’alba la procura di Locri ha arrestato – ai domiciliari, ché siamo ormai civili, non si ammazza nessuno – il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. Una roba di matrimoni combinati per concedere cittadinanze non dovute e di aiutini a cooperative locali per un milione di euro, nel paese in cui si rateizzano restituzioni di danari pubblici da 49 milioni. La magistratura ha probabilmente fatto un passo eccessivo, lo spiega lo stesso procuratore Luigi D’Alessio annunciando che, proprio in base alle conclusioni del gip, il suo ufficio valuterà se presentare ricorso presso il Tribunale della libertà.
Ma il punto grave del grottesco e minaccioso arresto di ieri (l’indagine della Guardia di Finanza è iniziata nel 2016, non sussistevano necessità di arresto) è il suo simbolismo politico e soprattutto (di questo la magistratura ovviamente non ha responsabilità) il rituale delle rivendicazioni che ha prodotto. A partire ovviamente dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, lesto di mattina a twittare: “Accidenti, chissà cosa diranno adesso Saviano e tutti i buonisti che vorrebbero riempire l’Italia di immigrati! Io vado avanti”. Lui, va avanti. Seguito a ruota da dichiarazioni scimmiottate, ma pure odiose nei toni, come quella di Giorgia Meloni: “Vi ricordate quando Saviano diceva ‘Riace modello vincente’ riferendosi alle politiche sull’accoglienza? Bene, ora potrà portare le arance al suo amico sindaco arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il vero modello vincente”. E da quella non particolarmente più intelligente ma politicamente significativa, dacché segnala una convergenza ideale tra leghisti e Cinque stelle, del vice del Viminale Carlo Sibilia (sì, quel Carlo Sibilia, quello dello sbarco sulla luna) che ha dichiarato: “Riace non era un modello, è finita l’era del business dell’immigrazione. Il sistema dell’accoglienza targato Pd ha creato più indagati che integrati” (boom!). Scritto sul Blog delle stelle: “Il governo del cambiamento ha dichiarato guerra al business dell’immigrazione. Nel dl sicurezza ci saranno già risposte importanti, operiamo una stretta doverosa sui controlli delle spese di danari pubblici”.
Stiamo assistendo da tempo a una escalation di queste rivendicazioni esemplari, gesti da inaugurazione di un regime, di assunzioni di responsabilità morali che coprono forzature politiche e istituzionali. Quelle di ieri – davanti all’arresto di un primo cittadino eletto pure lui dal popolo, e (vedremo) per reati forse più politici e d’opinione che altro – sono particolarmente gravi, squillanti. Certo, nessuno dei nuovi truci al governo ha il profilo adatto a essere il nuovo Mussolini, e nemmeno l’intelligenza. E oggi le manganellate esemplari si danno a colpi di Whatsapp, o su Facebook. Niente omicidi, solo character assassination. E Mimmo Lucano non è un sindaco qualsiasi. Riace, comune spopolato di duemila abitanti, non è un luogo qualsiasi. Sono diventati simbolo – finirono sulle copertine internazionali – di una efficace (o pervicace, come preferite) attività di accoglienza dei migranti. Lucano forzando spesso e volutamente le regole, il paese ripopolandosi con i nuovi arrivi. Sono diventati simboli per Roberto Saviano, per Beppe Fiorello, la cui fiction per la Rai è stata bloccata, guarda un po’, su iniziativa di Maurizio Gasparri, perché si parlava di un indagato: non ci facciamo mancare nulla, anche i palinsesti ci facciamo dettare dalle procure. E può darsi che il simbolo non piaccia a tutti. Può darsi che il sistema Riace, l’accoglienza come dovere universale su base etica, sia una parte del problema, e non della soluzione.
Ma c’è qualcosa di emblematico, sgradevole e pericoloso nella politicizzazione del caso Riace. L’arresto di Lucano e la rivendicazione di Salvini arrivano nei giorni dell’esame del Quirinale sul decreto sicurezza, di cui un punto discusso è proprio il diritto d’asilo. L’appoggio di Salvini ai magistrati viene da parte di un ministro indagato per sequestro di persona aggravato – ma nessun gip ne ha chiesto l’arresto – e che rivendica di poter forzare le regole perché è stato eletto dal popolo. A volte i magistrati li critica, a volte ne incassa la benevolenza, quando gli serve li applaude. Ma lui è l’uomo forte, il popolo è dalla sua. Può.
C’è poi ovviamente un problema di credibilità delle accuse. Secondo il comunicato della procura di Locri “la misura cautelare rappresenta l’epilogo di approfondite indagini”, ed è sostanziata – soprattutto, si evince – dalla “particolare spregiudicatezza del sindaco nell’organizzare veri e propri matrimoni di convenienza” per migranti irregolari. A essere “particolarmente allarmanti” non sono solo “la lunga serie di irregolarità amministrative e di illeciti penalmente irrilevanti”, “ma anche soprattutto l’estrema naturalezza con la quale il Lucano e la sua compagna si risolvevano a trasgredire norme civili, amministrative e penali”. E “disarmante è risultata la spigliatezza”. Insomma, ne fanno una questione di stile. Per reati che paiono allo stesso gip di non acuta rilevanza. Poi c’è il “fraudolento affidamento diretto del servizio raccolta e trasporto dei rifiuti”, accertato dalla Guardia di Finanza, a favore di due cooperative e senza seguire le procedure del codice dei contratti. Pare che la grave posizione irregolare delle due coop fosse, nella sostanza, che non risultavano iscritte “nell’apposito albo regionale”. Insomma, e fino a prova contraria, non erano gestite dalla ’ndrangheta, né dagli scafisti né dalle ong che perlustrano i mari. Poca cosa, in un comune di duemila abitanti.
Ma quanto operato dal sindaco Mimmo Lucano – pasticciato, ovviamente discutibile in sede di buona amministrazione e anche di scelte politica – è sostanziato non dalle ruberie cui allude Sibilia, ma da una esplicita rivendicazione politica: “Io non sono d’accordo con questo decreto”, dice intercettato. Così rilascia carte di identità e patenti per nozze fasulle: “Proprio per disattendere queste leggi balorde vado contro la legge”. Tutto questo nel paese in cui Salvini fa quel che fa con la Diciotti perché non è d’accordo con le leggi italiane ed europee. Perché lui è stato eletto. E in cui il governo presenta in Europa un Def che contraddice gli accordi europei (che in alcuni casi fanno legge) perché non è d’accordo. E loro sono stati eletti. In questo paese in cui i ministri del governo sfidano o trasgrediscono le leggi e le altre istituzioni sulla base del mandato popolare, una magistratura zelante arresta un sindaco – anche lui eletto dal popolo, no? – perché rivendica più o meno lo stesso diritto di mandato. C’è in tutto questo un di più di arroganza e di esibizione d’arroganza, con il solito contorno dell’applauso belluino. Ed è il vero vulnus, minaccioso, di cui la grottesca vicenda di Riace è solo l’ultimo segnale. Non si può non rilevarlo, tanto per non finire sull’Aventino, disoccupati della storia.
Abituati alla tragedia