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E' morto Gilberto Benetton. Aveva 77 anni

Stefano Cingolani

La scomparsa dell’anima finanziaria lascia la galassia Benetton nell’incertezza

Roma. Luciano, il creativo, aveva lanciato un marchio, con i suoi United colors, ma era stato lui, Gilberto, a cambiare marcia, creando, dall’universo ormai appassito dei maglioncini colorati, il maggior gruppo multinazionale italiano, anzi l’unico grande rimasto dopo l’uscita della Fiat e di Luxottica. La sua morte a 77 anni, consumato dal cancro, lascia la famiglia di fronte a un futuro difficile dopo il crollo del ponte Morandi e l’attacco lanciato dai Cinque stelle al bastione Atlantia e alla reputazione della dinastia trevigiana. La tragedia di Genova “per noi rimarrà un monito perenne”, ammise nella sua ultima intervista rilasciata al Corriere della Sera. “Il silenzio delle prime ore era un segno di rispetto”, aggiunse, ma probabilmente era anche dovuto allo sgomento. Nessuno e meno che mai Gilberto poteva ignorare l’impatto che avrebbe avuto sul futuro di Autostrade, ma anche dell’intero gruppo giunto a un nuovo momento di svolta.

  

Il matrimonio con la spagnola Abertis, corteggiata da più di un decennio – era stato niente meno che Antonio Di Pietro, ministro delle infrastrutture nel governo Prodi a bloccarla nel 2006 – non si esaurisce certo in un pranzo di gala e avrebbe avuto bisogno del fiuto finanziario e della determinazione di Gilberto, la vera guida della famiglia e dell’intero gruppo. A luglio è scomparso anche Carlo, il più giovane, restano Giuliana (81 anni) e Luciano (83), che vuole tornare ai vecchi amori pur sapendo che oggi rilanciare il comparto abbigliamento, schiacciato da colossi come la spagnola Zara e la svedese H&M è un’impresa da fare tremare i polsi.

  

Giuliana aveva il tocco magico per le lane, Carlo era l’uomo della produzione, Luciano l’immagine pubblica (è stato anche senatore per il Pd), ma Gilberto rappresentava il solido punto di riferimento, colui che calava nella realtà i talenti dei fratelli grazie al suo talento nel consolidare e nel cambiare. A metà degli anni ’90, con le privatizzazioni e la vendita a pezzi dell’Iri, è stato lui a gettarsi su un ramo del tutto estraneo, come le infrastrutture, acquistando la società Autostrade e gli Aeroporti di Roma, o nella grande distribuzione, con Autogrill. Dalla manifattura ai servizi, una capriola con doppio salto mortale, si disse, in realtà una riconversione riuscita, un successo per il capitalismo italiano alla ricerca di nuovi punti di riferimento.

  

I Benetton sono rimasti a Treviso, veneti fino in fondo, ma proiettati sul mondo. Una lezione importante per una Italia che, adesso, vorrebbe chiudersi in se stessa. La destra leghista non glielo ha mai perdonato, accusandoli di un rapporto preferenziale con il centro-sinistra, da Prodi a Renzi. I populisti a cinque stelle ne hanno fatto il simulacro del capitalista che s’impadronisce dei beni pubblici. Il destino di Gilberto e dei suoi fratelli sembra essere segnato dalle maschere caricaturali con le quali sono stati rappresentati.

  

L’intero impero che fattura oltre 12 miliardi di euro fa capo alla holding Edizione. Il patrimonio di famiglia è equamente diviso tra i quattro rami; nel consiglio di amministratore siede un figlio di ciascuno dei quattro fratelli Benetton: Alessandro di Luciano, Franca Bertagnin di Giuliana, Sabrina di Gilberto e Christian di Carla. Nel frattempo è stata trasformata in società italiana la ex holding lussemburghese  Sintonia SA, sub holding del settore infrastrutture. I quattro rami della famiglia Benetton sono proprietari con una quota paritaria (25 per cento), utilizzando le seguenti cassaforti: Evoluzione, Proposta, Regia e Ricerca che sono i soci di Edizione. E’ probabile che Luciano assuma la presidenza e che nel cda di Edizione entri la figlia Sabrina, ma la scomparsa di Gilberto crea un vuoto notevole e inizia la ricerca di un nuovo nocchiero che guidi il gruppo nella tempesta.

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