Il contrappasso grillesco su Tap
Ora il M5s vuole parlare alla testa dei No Tap, ma fino a ieri ha fomentato solo la pancia più rancorosa. Le spiegazioni di Lezzi, Di Maio e Conte non placano la richiesta di dimissioni
"Non ho nulla di cui vergognarmi e vado a testa alta" perché "il Movimento 5 stelle non ha dato nessuna autorizzazione a Tap: ci ritroviamo nella condizione di non poter fermare una procedura già chiusa, avviata, svolta e conclusa dal governo precedente". Nel M5s Barbara Lezzi è forse la persona più coinvolta ed esposta alle critiche dei No Tap, lei che è nata a soli 20 chilometri da Melendugno, comune nel quale il gasdotto arriverà in Italia, legata indissolubilmente al dossier Tap dopo averne cavalcato la battaglia in campagna elettorale e finita, anche grazie ai voti dei salentini, a ricoprire la carica di ministro per il Sud. Ma quando adesso, in un video su Facebook, prova a spiegare ai pugliesi i motivi per cui uno stop al gasdotto non è percorribile, raccoglie nei commenti poca comprensione e molte, molte, critiche.
Quello appena trascorso è stato un weekend di fuoco per il M5s, che non riesce a placare la polemica sollevata dopo il passo indietro sull'infrastruttura che porterà inizialmente 8 miliardi di metri cubi di gas dall'Arzebaijan all'Europa (ma potrà arrivare fino a 20 miliardi), contribuendo a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico italiane. Le manifestazioni contro i grillini sono andate avanti sabato e domenica, tra schede elettorali strappate e bandiere del M5s bruciate. Alla Lezzi i manifestanti hanno chiesto le dimissioni e contro di lei hanno scandito cori per invitarla a non tornare più in Salento. I 20 miliardi di risarcimento che servirebbero per fermare la costruzione dell'opera, chiamati impropriamente "penali" dal vicepremier Luigi Di Maio non bastano ai No Tap, così come non riduce la loro rabbia nei confronti del M5s neppure il fatto che l'opera sia stata autorizzata da altri. "Avete promesso di bloccare tutto. Avete mentito", dicono. E ora che il movimento tenta di spiegare loro il perché, rivolgendosi alla testa invece che alla pancia, si ritrova travolto da reazioni che non riesce a gestire, le stesse che negli anni scorsi ha fomentato. "Quando abbiamo fatto il contratto di governo, abbiamo detto che il Tap rientrava in uno studio costi-benefici – ha detto questa mattina Di Maio – Quando abbiamo considerato che c'erano da sborsare almeno 20 miliardi, che sono più del reddito di cittadinanza e di 'quota 100' messi insieme, è chiaro che ai cittadini italiani abbiamo dovuto dire la verità. Questo non vuol dire cambiare idea", si giustifica il vicepremier.
A nulla è servito neppure l'intervento del premier Giuseppe Conte, che ieri in serata è intervenuto per cercare di ridimensionare le responsabilità del Movimento. "Se colpa deve essere, attribuitela a me", ha scritto in una lettera aperta ai cittadini di Melendugno. "Ho detto l'altro giorno che adesso è arrivato il momento di 'metterci la faccia' e lo sto facendo io personalmente, a nome del governo. Mi dispiace, peraltro, che i parlamentari pugliesi siano stati criticati e contestati. Sono reazioni che mi sembrano a dir poco ingenerose". La presa di posizione del premier è un atto di mediazione che riporta la questione a una dimensione istituzionale, scagionando il M5s, ma è insufficiente per spostare l'attenzione dei No Tap da chi per anni ha fatto promesse al territorio partecipando a comizi e manifestazioni.
Ad alimentare la polemica è anche il presidente della Regione Michele Emiliano, che si trova nell'imbarazzante situazione di aver appoggiato la politica grillina di opposizione al Tap mentre il suo partito dava l'ok all'opera quando era al governo con Renzi, con la compatibilità ambientale nel 2014 e l'autorizzazione unica nel 2015. Rimescolando le carte, oggi attacca: "La delusione che provo per il voltafaccia del M5s su Ilva e Tap è davvero devastante. Bugiardi e spregiudicati nel dire agli italiani: 'che volete? Non sapevamo che cazzo stavamo a di". Così, mentre va in scena il primo film italiano che racconta cosa succede quando un partito populista va al governo e non riesce a realizzare quanto promesso agli elettori, Emiliano recita il ruolo di chi non vuol imparare la lezione. "Se spostiamo l'opera di 30 km a nord non c'è nessuna penale e nessun risarcimento. La localizzazione spetta al governo italiano e neanche un metro di tubo è stato calato in mare o sul territorio italiano. Non ci sono pericoli di danni", aggiunge, continuando a parlare alle pance invece che alle teste.