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Natale con l'Etna

Turi Caggegi

Montagna buona o pericolosa? Così gli etnei si sono abituati a convivere con un vulcano in attività, tra colate di lava e scosse sismiche

Natale con l’Etna, anzi Natale con i terremoti dell’Etna. Non è la prima volta che scosse come quella della notte tra Natale e Santo Stefano (alle 3,19 magnitudo 4.8) fanno saltare gli etnei dal letto mentre dormono. Esperienza poco piacevole, anzi talvolta spaventosa anche per chi da sempre vive sul vulcano attivo più grande d’Europa ed è “abituato” a queste manifestazioni violente della natura, soprattutto in periodi, come quello attuale, caratterizzati dall’intensa attività vulcanica dell’Etna con esplosioni, fratture lunghe anche chilometri che si aprono sui fianchi della montagna e danno vita a bocche esplosive dalle quali fuoriesce lava a fiumi e migliaia di scosse di terremoto. Scenari preoccupanti, paurosi, dirà qualcuno, ma per molti abitanti dei paesi abbarbicati sui fianchi dell’Etna invece si tratta di fenomeni con i quali si convive senza troppa ansia. Interrogati spesso nei telegiornali, gli etnei di solito rispondono che “siamo abituati” e sorridono, come se vivere sull’Etna fosse un privilegio che fa ben sopportare le piogge di cenere e lapilli che di tanto in tanto ricoprono case e strade, le chiusure dell’aeroporto di Catania a causa delle nubi di cenere, le frequenti scosse di terremoto che ci svegliano nella notte. Gli etnei sorridono, perché sanno di non potere essere capiti da chi etneo non è, da chi non vive quel legame viscerale, intenso, passionale con questo vulcano spesso chiamato semplicemente “Muntagna”, e considerato dai più di sesso femminile (una Vulcanessa insomma), una Grande Madre generosa e un po’ burbera che di tanto in tanto si arrabbia ed esagera con le sue manifestazioni.

   

Da queste parti è sempre attuale il dibattito tra chi considera l’Etna “Montagna buona” e chi invece mette in guardia dal pericolo che comunque un vulcano tanto attivo e tanto grande costituisce se ci si approccia con eccessiva confidenza e superficialità. Tuttavia fanno certo sorridere, e un po’ anche arrabbiare, le descrizioni dell’Etna come Vulcano Sterminatore, come fa History Channel ancora oggi sul suo sito web parlando dell’eruzione del 1669, quando una grande colata lavica raggiunse Catania e si riversò in mare creando nuova terraferma, dopo aver distrutto diversi piccoli paesi a monte della città (solo parzialmente investita dalla lava). History scrive che in quell’occasione addirittura 17 mila catanesi morirono arsi vivi perché non vollero scappare, facendo passare gli abitanti dell’epoca per dei fatalisti idioti e suicidi. Una sciocchezza clamorosa, perché quell’eruzione non provocò alcuna vittima, e in quasi tremila anni di storia conosciuta del vulcano, non risultano vittime provocate direttamente da una colata lavica (sempre lenta e prevedibile). In tutta la storia dell’Etna si contano circa 80 morti, la maggior parte dei quali (59) provocati da una esplosione freatica a Bronte nel novembre del 1843, quando la lava, che avanzava nelle campagne coltivate, incontrò una cisterna piena d’acqua, provocando una grande esplosione che investì la folla che era andata ad assistere all’avanzata del fronte, a pregare e a cercare di sottrarre qualche attrezzo agricolo, qualche tegola alla distruzione.

   

Una delle ultime vittime si è registrata purtroppo a causa di un terremoto nella notte di Natale del 1985, alle 3.39 (altra coincidenza…), quando una scossa di magnitudo 4.4 fece crollare un piccolo albergo a 1.800 metri di quota, a Piano Provenzana, sul versante nord. Il sisma si originò proprio vicinissimo alla struttura, e causò anche quattordici feriti. La notte successiva (Santo Stefano), alle 3,34, un’altra forte scossa interruppe il sonno di decine di migliaia di abitanti del versante est dell’Etna. A quel punto, temendo una terza replica, nella notte del 27 dicembre molte persone dormirono all’aperto, e girando per i paesini dell’Etna, dove erano anche state allestite tendopoli, si vedevano spesso case con luci accese e porte aperte, e addirittura artigiani che lavoravano con le porte delle botteghe spalancate.

   

Più di recente, nel 2002, il 27 ottobre, un’altra sequenza di scosse si verificò nella zona est dell’Etna (come ieri), con magnitudo massima 4.3 alle 3,50. Anche allora un grande salto dal letto con figlio piccolo in braccio sotto la trave del soggiorno, e poi notte in bianco. Quello sciame sismico era il preludio alla grande eruzione sul versante nord, che avrebbe distrutto boschi secolari e tutte le strutture turistiche a Piano Provenzana. Durante l’eruzione altri terremoti (soprattutto 29 ottobre e 2 dicembre) danneggiarono molti edifici, provocarono oltre mille senzatetto e anche il crollo parziale di una scuola elementare a Giarre in orario scolastico, per fortuna senza conseguenze. Pochi minuti prima, infatti, una scossa più leggera aveva indotto gli insegnanti a fare evacuare l’edificio, seguendo le regole di comportamento sperimentate ormai da qualche anno nel corso di frequenti esercitazioni antisismiche.

   

Insomma, nel corso della vita media, a ciascun etneo di solito capita che si prenda un po’ di paura, e se non ci sono altre conseguenze la cosa si supera rapidamente. Se poi chiedete come si possa convivere così serenamente con un vulcano che spesso provoca danni e inquietudine, la risposta sarà “ci siamo abituati, noi amiamo la nostra Montagna”, e la frase sarà inevitabilmente chiusa da un ineffabile sorriso.

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