Il Cara di Castelnuovo nel giorno del trasferimento dei migranti. Foto LaPresse

Castelnuovo deporting

Renzo Rosati

Svuotare i centri d’accoglienza senza una strategia è solo propaganda, non il dispiegamento di politiche securitarie

Roma. Con 535 persone ospitate fino a ieri il Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Castelnuovo di Porto era il secondo d’Italia e, con il decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini, chiuderà il 31 gennaio per essere sostituito da punti di raccolta più piccoli, “più gestibili e meno cari”. Dove siano questi centri, come funzionano, chi li controlla e quanto costano, però non si sa. Così come sono rimaste segrete fino all’ultimo le destinazioni degli immigrati, compresi cento con protezione umanitaria e una ventina con permesso di soggiorno: molti se ne sono andati per loro conto a Roma, direzione stazione Termini e dintorni. Il Cara di Castelnuovo, benché sovraffollato, non era un centro di droga, criminalità e prostituzione: di competenza proprio del Viminale che ne aveva dato la gestione a una coop della Basilicata, in cinque anni vi sono transitate senza problemi 8 mila persone su una popolazione comunale di 8.600; la gran parte faceva lavoretti per il comune, altri avevano contratti a termine, 15 bambini andavano a scuola, alcuni erano ricoverati in ospedale, una donna con un tumore. Non è la rappresentazione buonista (di quelli che l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti definisce “estremisti dell’accoglienza”), è quanto dicono gli amministratori locali e anche la prefettura romana retta da Paola Basilone che aggiunge: “L’ordine di trasferimento è arrivato tre giorni fa, in base al dispositivo del Viminale per il centro sarà la fine. Non ci sono alternative”. Che sia l’applicazione pratica del decreto – Salvini ha già annunciato che dopo Castelnuovo toccherà al Cara di Mineo (Catania) – o la risposta mediatica allo show grillino di martedì con Lino Banfi all’Unesco, il problema è un altro. 

   

Davvero questa gente, non clandestini e non titolari di diritto di asilo, saranno meglio gestiti e controllati, e meno onerosi per le casse pubbliche? Il vicepremier considera il decreto il proprio maggior successo assieme ai “porti chiusi”; e i sondaggi sembrano dargli ragione. Ma i numeri potrebbero tra non molto rivelare un’altra realtà, e i sondaggi cambiare. Nei Cara sono ospitate 6 mila persone; nelle strutture di prima accoglienza (compresi gli hotspot per l’identificazione) ne risultano, al 31 dicembre, 135.858. E’ evidente che non sarà svuotando i centri con il metodo dei trasferimenti improvvisi che si risolve il problema della gestione dell’immigrazione né quello della sicurezza. La velocizzazione delle pratiche di riconoscimento, diritto d’asilo o espulsione, tutti impegni salviniani, è ancora lettera morta: nonostante il drastico calo (dell’80 per cento) degli sbarchi e delle domande di asilo (58 per cento), i rimpatri del 2018 sono appena sotto al livello del 2017: poco meno di 7 mila. E questo perché il decreto di espulsione, per essere attuato, prevede la riammissione nel paese d’origine.

   

E' così in tutta Europa, ma gli accordi non funzionano soprattutto con l’Italia, dove il governo gialloverde ha mostrato la faccia feroce ai paesi africani (anche quelli più disponibili come la Tunisia); cosa alla quale l’esecutivo cerca ora di porre rimedio con le missioni all’estero del premier Giuseppe Conte. Dunque quasi 150 mila stranieri continuano a vagare, senza integrarsi e senza essere rispediti in patria. A complicare la situazione arrivano le due novità del decreto sicurezza oltre alla chiusura dei Cara: lo smantellamento del sistema Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), basato su una rete di enti locali che non si limitavano a fornire vitto e alloggio attraverso le cooperative, ma richiedevano inserimento nel lavoro e istruzione di base; e la fine della protezione umanitaria. Lo Sprar riguardava 35.881 persone, 877 progetti e 754 comuni; la protezione 13 mila. Il primo resterà solo per i minori e per chi ha già lo status di rifugiato; la seconda scompare del tutto. Alcune decine di migliaia di stranieri in attesa che la burocrazia faccia il proprio corso entrano in una terra di nessuno per le istituzioni, mettendo nei guai le stesse forze dell’ordine, gli ospedali, le scuole che non sanno che pesci prendere. “Si risparmia un milione di euro” spiega Salvini; intanto si dovrà trovare un lavoro ai 120 dipendenti della coop di Castelnuovo. Magari chiederanno il reddito di cittadinanza.