I no-global di Torino e il regime di Maduro hanno lo stesso nemico: il privato
Le proteste contro Burger King e gli scaffali vuoti di Caracas
Cosa ha a che fare il Venezuela con la protesta degli studenti di Torino contro l’apertura di un Burger King nei pressi dell’università? Nulla, in apparenza. O forse un legame c’è, che per quanto esile vale la pena esplorare. “No alla svendita dell’università”, “Fuori i privati dall’università”, recitavano alcuni dei cartelli esposti durante la manifestazione. Quei luoghi erano per gli studenti, dovevano insomma essere destinati all’istruzione. Non certo all’arricchimento di una multinazionale “cattiva”. Eppure gli spazi che la società University Service Project, incaricata dall’Università degli Studi di Torino, avrebbe riservato a una serie di esercizi commerciali tra cui Burger King, fanno parte di un progetto di costruzione più ampio di un campus, “in cui gli edifici universitari diventano strutture aperte, integrate e diffuse nel tessuto cittadino”. Un progetto che include la realizzazione di circa diecimila metri quadri a beneficio degli studenti e della didattica. Un progetto molto oneroso per il quale il contributo di un colosso come Burger King tornerà magari utile.
Ma l’idea che progetti del genere abbiano un costo oneroso e che tale costo sia meglio sostenuto con la collaborazione dei privati, esattamente come avviene talvolta per la ristrutturazione dei monumenti storici, cede purtroppo il passo all’odio del marchio. Chi è cresciuto con l’idea – per la quale le università sono terreno fertile – che il profitto del capitalista avvenga necessariamente a danno della società, troverà difficile concepire che tra guadagno privato e beneficio pubblico può esserci invece un punto di incontro. Basta del resto gettare un’occhiata distratta agli ambienti fatiscenti delle nostre università pubbliche per capire quanto farebbero bene investimenti privati per la loro ristrutturazione. Si parla, per capirci, di ambienti dove possono mancare l’acqua calda e la carta igienica nei bagni. L’ideologia dello studente no-global è troppo radicata nell’utopia della benevolenza del pubblico per comprendere che è solo dal mercato, cioè dall’iniziativa degli individui e dal loro organizzarsi in imprese, che possiamo aspettarci la cena sulla nostra tavola, il sapone con cui lavarci, i farmaci con cui farci passare il mal di testa.
Il Venezuela non ha fatto altro che mettere in pratica quanto prescrive l’ideologia dello studente torinese: ha cacciato i privati, nazionalizzando o mettendo sotto stretto controllo settori chiave dell’economia (dalle telecomunicazioni all’agricoltura, dalla finanza all’industria dell’acciaio), annullando di fatto ogni possibilità di fare impresa. Quello di Chávez e Maduro è il paese in cui persino McDonald’s fa fatica a servire le patatine e ha smesso di preparare il Big Mac per mancanza di pane, in cui la Coca-Cola non riesce a reperire lo zucchero per le proprie bevande, in cui la Colgate-Palmolive ha fermato la produzione perché priva del cartone necessario per inscatolare i prodotti. Problemi cui nemmeno colossi come questi hanno potuto ovviare, figuriamoci il piccolo imprenditore; ed ecco spiegati gli scaffali vuoti e il fiorire del mercato nero per beni di prima necessità.
Ma allora il legame tra chi protesta contro il Burger King in una città ricca come Torino e gli scaffali vuoti dei supermercati di Caracas è esile solo in apparenza. Lo studente di Torino auspica la scomparsa del privato dagli spazi pubblici. A Caracas è andata esattamente così. Il caso del Venezuela, come di altri paesi malati di economia pianificata, dimostra che non è contrastando il mercato, e con esso le multinazionali, che si restituisce il potere alle persone. Lo si concentra semmai nelle mani di pochi, che lo useranno per rendere i molti ancora più dipendenti dalle benevolenza della politica. Un incubo da cui si spera che il Venezuela si stia finalmente risvegliando. Ma che continuerà a ripetersi ovunque non si comprenda che la nostra libertà passa anche per la costruzione di un Burger King in un locale universitario.
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