Il Mediterraneo tra Italia, Libia e Malta è diventato un “buco nero”
I siti che tracciano le rotte delle navi lasciano scoperto il mare davanti a Tripoli. Ora i salvataggi sono eventi “fantasma”
Roma. Gli eventi delle ultime settimane al largo della Libia dicono che la guerra del governo italiano alle ong non ha reso il Mediterraneo un posto più sicuro. Anzi, il tratto di mare che ci separa dall’Africa del nord è diventato un fronte sempre più pericoloso dove si sta creando un vuoto di sorveglianza su quello che succede nelle acque tra Italia, Libia e Malta.
La raccolta di informazioni per monitorare le imbarcazioni in transito in quest'area è sempre più difficile. Sui siti che tracciano in tempo reale le rotte delle imbarcazioni in navigazione, come MarineTraffic, My Ship Tracking o Vesselfinder, il corridoio usato dai trafficanti di uomini che va da 10 miglia a sud di Malta fino alle coste libiche mostra dei vuoti anomali su chi è in navigazione. A tratti, in questa area piuttosto vasta, sembra non transiti più nessuno. “E’ così da alcuni mesi – ci spiega Sergio Scandura di Radio Radicale, che da anni traccia gli arrivi e le partenze dei migranti nel Mediterraneo – sicuramente dal caso dell’Asso 28”. Nell’estate 2018, questa nave italiana aveva creato un precedente notevole perché, dopo il salvataggio di un centinaio di migranti, li aveva riportati in Libia, che però non è considerata un “porto sicuro” secondo le convenzioni internazionali. “Oggi monitorare cosa succede in quel tratto di mare è impossibile. Di certo non possiamo affidarci ai dati su partenze e arrivi che ci fornisce la cosiddetta Guardia costiera libica”, dice Scandura. L’identificazione delle imbarcazioni in transito avviene grazie ai segnali mandati dai transponder. Si tratta di dispositivi che le navi sono obbligate a installare a bordo e che inviano dei segnali Vhf alle stazioni radio posizionate lungo le coste – tra la Sicilia, la Tunisia e la Libia – che danno informazioni sul tipo e sul nome della nave, oltre che sulla rotta. Ma da mesi, in questa zona di mare, questi segnali sembrano muti. Sono attivi solo i sistemi Sat-Ais, che però sono “anonimi”, non forniscono informazioni sull’imbarcazione e non sono obbligatori per gli armatori.
Tre schermate di uno dei siti che tracciano il passaggio delle navi al largo della Libia. Nelle prime due da sinistra, c'è un vuoto anomalo davanti le coste dell'Africa del nord. Nella terza, solo navi "anonime" con segnale Sat Ais (qui il thread di Sergio Scandura)
Per Scandura non si conoscono i motivi di questi “buchi”. Ma la loro conseguenza è il totale vuoto di notizie su chi parte, e su chi muore, al largo della Libia. E’ successo anche di recente, nella notte tra l’11 e il 12 febbraio. “Tramite Alarm Phone (che dà supporto telefonico a chiunque provi ad attraversare il Mediterraneo verso l’Italia, ndr) siamo venuti a conoscenza di due imbarcazioni partite dalla Libia – spiega Scandura – La prima salpata da Khoms, a est di Tripoli, aveva a bordo 150 persone che sono state rintracciate dalla Guardia costiera libica per essere poi riportate indietro”.
Ecco come comparivano le navi in transito prima del "buco" di informazioni, dalla stazione di Ribera, in Sicilia
We were called from the sea today by survivors of a Mediterranean crossing while illegally returned to #Libya on a merchant vessel. As so many others before, these 62ppl were deceived by the crew & told they would be brought to #Europe. One survivor told us what happened to them: pic.twitter.com/wpeBLGVAfN
— Alarm Phone (@alarm_phone) 12 febbraio 2019
Il secondo caso era riferito ad altri 62 migranti che rischiavano di affondare a qualche decina di miglia dalle coste libiche. “Secondo le testimonianze dei migranti arrivate ad Alarm Phone, e con quelle poche informazioni ancora disponibili sui portali online, siamo riusciti a capire solo che sono stati soccorsi da una portacontainer di armatori greci che batteva bandiera liberiana, la BFP Galaxy”. Secondo quanto raccontato dai migranti, il salvataggio è avvenuto la sera dell’11 febbraio, intorno alle 23. Una volta a bordo, l’equipaggio li aveva rassicurati che la destinazione sarebbe stata l’Italia. Ma “intorno alle 8.45 della mattina ci siamo svegliati ed eravamo a Tripoli”, ha detto un testimone ad Alarm Phone. In sostanza, una nave commerciale diretta in Libia, pur di non modificare la sua rotta verso Tripoli, ha salvato i migranti per condurli in un porto che, secondo le Nazioni Unite, non è sicuro. Una violazione delle leggi internazionali che ha diversi altri precedenti – come dimostra il caso dell’Asso 28 e, lo scorso novembre, della nave mercantile Nivin – ma che stavolta è avvenuta lontana dai riflettori. Di fatto, in questa porzione di mare le operazioni di salvataggio sono ormai delegate a una Guardia costiera non efficace, quella libica, o alle navi dei privati. E il Mediterraneo, uno dei mari più controllati al mondo, è diventato un colabrodo. Nel silenzio generale.
Abituati alla tragedia