Cari liberal, le periferie esistono e non sono un feticcio esclusivo dei sovranisti
Il nuovo libro di Christophe Guilluy. Un’anteprima
Roma. Nel 1987, Margaret Thatcher pronunciò una delle sue frasi più famose: “There is no society”. La società non esiste. Oltre trent’anni dopo, scrive Christophe Guilluy – geografo francese e autore di bestseller come “La France périphérique” –, quelle parole avrebbero descritto alla perfezione la crisi che ha colpito tutti i paesi occidentali.
La tesi di Guilluy, inventore dell’espressione “Francia periferica” che può essere allargata anche ad altri stati, è contenuta in un libro che uscirà in Italia per le edizioni della Luiss giovedì 18 aprile: “La società non esiste”. Sottotitolo: “La fine della classe media occidentale”. Al suo posto c’è oggi il caos della a-società, la società relativa, nata dalla frattura fra l’alto e il basso che ha condotto alla scomparsa della classe media occidentale, a lungo portatrice dell’americana ed europea “way of life”. “La crisi della rappresentanza, l’atomizzazione dei movimenti sociali, l’arroccamento della borghesia, la scomparsa delle classi popolari e l’ascesa del comunitarismo sono tutti segni dell’esaurimento di un modello, quello globalizzato, che non crea più società”, scrive Guilluy. Insomma con la secessione dei ceti superiori siamo andati ben oltre quello che nel 1994 Christopher Lasch aveva chiamato “ribellione delle élite”.
Ora, si può anche non essere d’accordo con l’autore quando attacca la “truffa della società o della città aperta” e scrive: “L’open society è senza dubbio la più grande fake news degli ultimi decenni. In realtà, la società globalizzata è davvero quella dell’arroccamento del mondo di sopra nei suoi bastioni, nei suoi lavori, nelle sue ricchezze”; tuttavia Guilluy, il cui libro dovrebbe essere letto soprattutto dai liberal, coglie il limite dell’ottimismo razionale delle classi dirigenti occidentali, soprattutto quelle progressiste, che rifiutano di prendere in considerazione il concetto di Francia periferica, di America periferica o di Italia periferica pensando che sia soltanto un feticcio dei sovranisti. Le periferie invece esistono, non riguardano più segmenti marginali di operai e contadini, ma anzi comprendono dipendenti, lavoratori manuali, giovani, pensionati, abitanti delle zone rurali e urbane: così come esistono nuovi ricchi esistono anche nuovi poveri (provenienti dalla defunta classe media occidentale).
Di fronte a una realtà così magmatica, scrive Guilluy, le classi politiche dominanti hanno scelto l’ideologia del lieto fine. “Gli esperti e i professori propongono sempre soluzioni positive, ottimistiche, non conflittuali. E’ possibile descrivere una realtà difficile solo se la si colloca ai margini, è possibile identificare un ‘cattivo’ qua e là, ma il lieto fine è sempre obbligatorio”. Il problema è che questo pensiero magico non funziona più, dice Guilluy (ne sa qualcosa il centrosinistra italiano sconfitto alle elezioni politiche del quattro marzo). “Mentre gli esperti si ostinavano a guardare da un’altra parte, nel frattempo veniva alla luce il mondo delle periferie popolari, e la massa che lo ha portato alla luce non è stata la rabbia di qualche miserabile, ma la scomparsa della classe media occidentale. Per questo occorre dire che la dinamica populista è un fenomeno tutt’altro che congiunturale, ma affonda le sue radici nel tempo”, scrive il geografo francese.
Non che le soluzioni offerte dai populisti, specie quelli nostrani, siano davvero improntate alla difesa delle generazioni più svantaggiate, a partire dai giovani, nonostante i mille proclami rivoluzionari. Basta vedere le misure economiche che sta prendendo il governo italiano, perlopiù improntate all’aumento del debito pubblico, già enorme di suo e destinato a ricadere sulle future generazioni. Periferiche e non.
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